Rodolfo Ricci Con lo straordinario risultato del referendum greco esce sconfitto il neoliberismo in Europa, con gli accessori di monetarismo, austerity e “riforme strutturali” orientate alla compressione dei salari, alla crescita dell’esercito di riserva costituito da una disoccupazione mai vista, alla competizione tra lavoratori e alla riduzione e cancellazione del welfare; come 15 anni fa era accaduto in America Latina.
L’unico fortezza rimasta in piedi per le
elites neofeudali è infatti quella mediatica, che nelle prossime
settimane sarà messa in allarme rosso per tentare di depistare le masse
italiane ed europee. Ma se ciò non è riuscito in Grecia, può non
riuscire in Italia e in tutta Europa.
Un analogo referendum in Europa avrebbe
grandi chance di ottenere lo stesso risultato greco. Certamente nei
paesi orbitanti intorno al nucleo duro.
Significa che i popoli europei stanno
capendo che si tratta di una lotta di classe continentale, non di una
guerra tra paesi analoghe alle guerre militari. Almeno, questo dovrebbe
essere l’obiettivo delle forze progressiste: far comprendere pienamente
che si tratta di una guerra di classe tra un’elite che si è arricchita
enormemente prima e ancor più durante la crisi; le punte di questo
arricchimento, si sono registrate proprio in Grecia e in Italia.
Certamente, c’è un paese dove forse un
referendum analogo a quello greco potrebbe perdere: è in Germania (e
nelle provincie satelliti), perché questo è il paese che più ha
guadagnato a spese degli altri. Ma anche le classi medie e subalterne di
questi paesi sono state altrettanto spremute proporzionalmente
all’aumento della loro produttività del lavoro; e i profitti, anche qui,
sono andati alle oligarchie delle loro multinazionali e delle loro
banche.
Renzi e i suoi consiglieri anglosassoni
hanno ricevuto lo schiaffo che si meritano. Come il ministro Padoan
accolito delle elites transnazionali e il vile Napolitano (con tutta la
schiera degli imbelli che lo ha seguito in questi anni) che ha sempre
ritenuto l’espressione democratica e popolare, come una velleità
“populista”.
Negli anni della crisi, la ricchezza
della gente si è ridotta mediamente del 20% in tutto il sud Europa,
assorbita dalla rendita finanziaria nazionale e globale. E’ opportuno
chiarire a ogni persona che lo scambio proposto e offerto dalle elites
–quello di mantenere intatti i propri risparmi e i propri piccoli
patrimoni- è una truffa, come dimostrano i dati ufficiali del debito
pubblico e privato e il crollo del valore di case e di altri patrimoni.
Restare concentrati a tenersi stretto
quel poco che ci resta è comprensibile da un punto di vista psicologico,
ma è un grave errore, perché le politiche delle elites ti mangiano anno
dopo hanno ciò che pensi di avere e soprattutto ti hanno già ipotecato
il futuro con l’assenza di ogni prospettiva di sviluppo per le nuove
generazioni e con l’erosione di pensioni e welfare.
L’unica chance che hanno i popoli europei
è far saltare questo gioco e riprendere in mano il proprio destino. Che
si possa farlo meglio sul piano nazionale o su quello continentale è da
vedere e da decidere senza cadere in trappole ideologiche.
In ogni caso, “this is not Europe”;
l’Europa sociale, quella dei popoli europei o del popolo europeo, è
tutta da costruire. Questa che abbiamo di fronte oggi è una galera
progettata dalle elites di antiche e nuove famiglie di sanguisughe
globali, quelle che hanno in mente un impero neofeudale in cui la gara
di competitività nel continente serve solo a mantenere i propri
interessi.
E’ l’ora di un ampio fronte
internazionale (a partire dai singoli paesi) che dia la spallata finale a
questi impostori e criminali.
L’Europa è il continente più ricco del
pianeta. Deve risocializzare la sua ricchezza e diffondere una nuova
speranza nelle altre aree del mondo secondo gli orientamenti emersi in
questi ultimi decenni dalle lotte sociali di tanti paesi, presenti, in
maniera sorprendente, anche nella “Laudato si’” di Papa Francesco.
In questo senso, l’approccio
nominalistico e inefficace della cosiddetta sinistra, è cancellato. Si
apre una stagione in cui ciò che ci deve guidare è un nuovo empirismo
dei risultati.
Il primo è quello di allontanare le
attuali elites dai posti di comando. Di recuperare la democrazia in ogni
angolo. Si tratta di vincere la guerra scatenata oltre 40 anni fa e che
ha prodotto povertà in occidente e milioni di morti negli altri
continenti.
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