Rifiuta il ruolo di blocco anti-egemonico
Tito Pulsinelli
Il neoliberismo ha fatto dello Stato un operatore che si amputa funzioni, competenze e potere, e consegna le risorse pubbliche all'economia privata sovranazionale. L'inebriata coazione a privatizzare, ormai ad alta velocità, oltre all'economia include anche i flussi finanziari, cultura, giustizia e difesa. E' la sostanza concreta dell'usurpazione della sovranità,
giunta alla fase dell'esautorazione del potere politico e liquidazione delle istituzioni tuttavia generate dalla volontà popolare. Il potere politico pervenuto all'harakiri, soccombe al cavallo di Troia della cooptazione e della connivenza criminosa, soprattutto nei suoi massimi livelli gerarchici. Questa sorta di estinzione dello Stato, rimane ben lungi dall'essere appropriazione o assimilazione di capacità e funzioni da parte della base sociale. Non è l'inverarsi del libertario anelito ugualitario a rendere superfluo lo Stato. No, è solo utopia di paccottiglia delle elites, grimaldello per scarnificare lo Stato fino al minimalismo depredatore del gabelliere.
La realtà è che le nazioni, popoli e lo Stato moderno transitano in una bidimensionalità (1) in cui è avvenuta una mutazione della sovranità. Coesistono conflittualmente la sfera di poteri nazionali e pubblici (anche economici) in via di drastica riduzione, e una crescente dimensione sovrastale del controllo dell'eccedente economico, dell'uso della forza, e della regolazione del lavoro produttivo. Il problema, quindi, è capire da che parte stanno i neofiti dell'ultima ora. E' nefasto il fondamentalismo che accomuna la fazione dell'azzeramento degli spazi nazionali e la schiera dei credenti nella superiorità aprioristica della “europa” realmente esistente.
Questi derivati avariati di remoti ideologismi, sopravvivono grazie all'inganno consolotario di uno schema che li promuove a ineluttabile “modernismo”. E sferzano tutto quel che gli si oppone come conservatorismo, arcaismo o abominevoli culti passatisti. Con l'alibi di un onirico “liberalismo”, favoriscono l'esistenza di mostruosi monopoli planetari e cancellano i diritti sociali, a tutto vantaggio di quelli individuali o di minoranze infime. Si pavoneggiano con il lauro di "rivoluzionari modernisti" in epica pugna contro la barbarie populista, nazionalista o "tribale".
E' solo una casualità statistica se troppe decisioni di carattere globale favoriscono sempre e solo un determinato Paese o il gruppetto dei vassalli più passivi? La “europa” succube che -a naso tappato- vogliono farci trangugiare, deve essere per forza atlantista? I nostalgici del ritorno a galoppo delle tute blu, i devoti della “classe operaia deve dirigere tutto”, non sono riusciti a salvare neanche il posto di lavoro. I loro referenti politici hanno favorito e giustficato l'esportazione della struttura produttiva.
Il neoliberismo ha fatto dello Stato un operatore che si amputa funzioni, competenze e potere, e consegna le risorse pubbliche all'economia privata sovranazionale. L'inebriata coazione a privatizzare, ormai ad alta velocità, oltre all'economia include anche i flussi finanziari, cultura, giustizia e difesa. E' la sostanza concreta dell'usurpazione della sovranità,
giunta alla fase dell'esautorazione del potere politico e liquidazione delle istituzioni tuttavia generate dalla volontà popolare. Il potere politico pervenuto all'harakiri, soccombe al cavallo di Troia della cooptazione e della connivenza criminosa, soprattutto nei suoi massimi livelli gerarchici. Questa sorta di estinzione dello Stato, rimane ben lungi dall'essere appropriazione o assimilazione di capacità e funzioni da parte della base sociale. Non è l'inverarsi del libertario anelito ugualitario a rendere superfluo lo Stato. No, è solo utopia di paccottiglia delle elites, grimaldello per scarnificare lo Stato fino al minimalismo depredatore del gabelliere.
La realtà è che le nazioni, popoli e lo Stato moderno transitano in una bidimensionalità (1) in cui è avvenuta una mutazione della sovranità. Coesistono conflittualmente la sfera di poteri nazionali e pubblici (anche economici) in via di drastica riduzione, e una crescente dimensione sovrastale del controllo dell'eccedente economico, dell'uso della forza, e della regolazione del lavoro produttivo. Il problema, quindi, è capire da che parte stanno i neofiti dell'ultima ora. E' nefasto il fondamentalismo che accomuna la fazione dell'azzeramento degli spazi nazionali e la schiera dei credenti nella superiorità aprioristica della “europa” realmente esistente.
Questi derivati avariati di remoti ideologismi, sopravvivono grazie all'inganno consolotario di uno schema che li promuove a ineluttabile “modernismo”. E sferzano tutto quel che gli si oppone come conservatorismo, arcaismo o abominevoli culti passatisti. Con l'alibi di un onirico “liberalismo”, favoriscono l'esistenza di mostruosi monopoli planetari e cancellano i diritti sociali, a tutto vantaggio di quelli individuali o di minoranze infime. Si pavoneggiano con il lauro di "rivoluzionari modernisti" in epica pugna contro la barbarie populista, nazionalista o "tribale".
L'ovvietà
d'un divenire internazionale che si posiziona
come consolidazione di blocchi
continentali -cosa
assai diversa dall'affastellare
trattati commerciali- non legittima
le terapie punitive generate dalle acrobazie con il pallottoliere monetarista. La
sintonia con il nuovo contesto multipolare,
composto
da
blocchi continentali, non
implica in modo alcuno la
legittimazione
dell'attuale
UE che brandisce l'euro
come un'ascia
di guerra.
Bisogna salvare il bambino buttando l'acqua radioattiva. I giochi non sono ancora fatti, e i sofismi su qualsiasi irreversibilità sono bluff da biscazzieri. Impossibile convalidare una iniqua impalcatura sui generis o una imberbe moneta, appena decennale. Non adottata, per di più, neppure dalla maggioranza dei Paesi targati UE. La balbuzie degli apologeti dell'ultima ora dell'euro e UE, ricorda troppo l'anteriore filastrocca “immateriale” sulla morte dell'imperialismo, letto erroneamente come "Impero", apparentemente orfano di una base nazionale. Le guerre contro l'Afganistan, l'Iraq e la Siria chi le ha combattute e con quali finanziamenti?
Bisogna salvare il bambino buttando l'acqua radioattiva. I giochi non sono ancora fatti, e i sofismi su qualsiasi irreversibilità sono bluff da biscazzieri. Impossibile convalidare una iniqua impalcatura sui generis o una imberbe moneta, appena decennale. Non adottata, per di più, neppure dalla maggioranza dei Paesi targati UE. La balbuzie degli apologeti dell'ultima ora dell'euro e UE, ricorda troppo l'anteriore filastrocca “immateriale” sulla morte dell'imperialismo, letto erroneamente come "Impero", apparentemente orfano di una base nazionale. Le guerre contro l'Afganistan, l'Iraq e la Siria chi le ha combattute e con quali finanziamenti?
E' solo una casualità statistica se troppe decisioni di carattere globale favoriscono sempre e solo un determinato Paese o il gruppetto dei vassalli più passivi? La “europa” succube che -a naso tappato- vogliono farci trangugiare, deve essere per forza atlantista? I nostalgici del ritorno a galoppo delle tute blu, i devoti della “classe operaia deve dirigere tutto”, non sono riusciti a salvare neanche il posto di lavoro. I loro referenti politici hanno favorito e giustficato l'esportazione della struttura produttiva.
In Grecia, purtroppo, le truppe corazzate della BCE hanno travolto i bastioni sindacali e i reticoli spinati frapposti dagli scioperi generali seriali. Più dell'eroismo dei molti, è stata decisiva la viltà delle omologate e interscambiabili dirigenze locali bipartisan del neoliberismo bifronte. Mute e inerti contro la serrata di tutti gli sportelli bancari decretata a Bruxelles.
A questo punto della partita non è più concepibile l'indefinizione o la neutralità rispetto all'UE, nè l'amletico agnosticismo verso la sua ascia di guerra monetaria. La suturazione dell'emoraggia può ridursi a una sorta di “trattativa sindacale” globale con chi ha confiscato la totalità dei diritti? No, contro la guerra non-convezionale del tribalismo finanziario è necessario predisporsi verso un'insurrezione di massa, capace di combinare con simultaneità tutti i piani di lotta. E' necessario sapere se si vuole impedire il saccheggio della residuale economia e della riserva aurea nazionale per mano della BCE.
Negli ultimi 15 anni nei Paesi dell'arco bolivariano (Venezuela, Ecuador, Bolivia) e in Argentina, abbiamo assistito a un ritorno della centralità dello Stato e ad un crescente ruolo nell'economia con la nazionalizzazione di settori strategici (energetico, telecomunicazioni, elettricità, banche). Questo ritrovato protagonismo ha reso possibile l'irrobustimento delle politiche sociali, nonchè un'accelerazione nella formazione d'un blocco regionale. Non subordinato agli Stati Uniti e più svincolato e autonomo dai centri del potere finanziario esterni.
Su di un altro versante, si schierano Paesi che come l'Ungheria recupera la sovranità della sua banca centrale, sovvenziona l'apparato produttivo che alimenta il suo mercato interno, proibisce la vendita della terra e del suolo agli stranieri.
I
cantori del modernismo apparente, insistono che
senza di loro ci sarebbe solo il ritorno alle tenebre dello Stato-nazione
pietrificato o il precipizio nell'autarchia. I profeti professionali
del disastro mentono. Come mentirono sulle delizie infinite della
"globalizzazione", spacciando come una nuova frontiera il sogno feudale di “tutto il potere al governo segreto dell'elite”.
La questione prioritaria è sapere se
gli si vuole delimitarne il raggio d'azione o aumentarlo. Se si agisce per
de-strutturare la trama o per ingigantire il potere finanziario
esterno.
Vogliono l'Europa delle elites? Hanno sentito i rintocchi di campana per l'euro? La sfida è alta, richiede forze che vanno oltre il classismo, sindacalismo o l'improvvisazione di liste elettorali raccogliticce. Queste, hanno senso solo se sedimentano un blocco sociale anti-egemonico e sovranista, per conquistare un iniziale potere di veto, come anticamera del potere politico.
(1)
Alvaro Gracìa Linera,
vice-presidente della Bolivia, “La costruzione dello Stato”,
conferenza nella facoltà di Legge della UBA, Buenos Aires, 9-4-2010Vogliono l'Europa delle elites? Hanno sentito i rintocchi di campana per l'euro? La sfida è alta, richiede forze che vanno oltre il classismo, sindacalismo o l'improvvisazione di liste elettorali raccogliticce. Queste, hanno senso solo se sedimentano un blocco sociale anti-egemonico e sovranista, per conquistare un iniziale potere di veto, come anticamera del potere politico.
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