martes, 6 de septiembre de 2016

USA: RAPPORTO del FBI su HILLARY CLINTON


           
Le 58 pagine dell'indagine sull'ex ministro degli esteri Hillary R. Clinton, portata a termine dal FBI  e rese pubbliche sul suo sito (QUI).

TP E' nota la vicenda delle informazioni ufficiali e istituzionali utilizzate nella corrispondenza privata della Clinton, che ha messo del piombo nelle sue ali, danneggiando le apirazioni presidenziali. Informazioni utilizzate per scopi personali, a beneficio della Fondazione Clinton.
Diventa raccapricciante la corsa alla Casa Bianca, paradossale

l'anatema scagliato contro la "inaffidabilità e insperienza" profferito dalla Clinton contro Trump. Assume un sapore di thrilling il terribile avvertimento del sistema mediatico che evoca una probabile  reazione dei militari in caso di vittoria di Trump. La campagna sta diventando una collutazione senza esclusione di colpi, si spinge fino alla minaccia di un golpe, non risparmia nemmeno con l'esotico ingrediente complottista anti-Russia, Resuscita addirittura uno stilema degli anni 60 "Dalla Russia con furore". Putin, agente 007? (sic)                                                                                       
Non è solo una conseguenza della mediocrità dei due candidati. Non si tratta della nota miseria della politica, assenza di qualità dei due presidenziabili o della polarizzazione che sta sfarinando il bipartitismo (di cui B. Sanders non ha voluto o saputo approfittare). E' il rigetto di un sistema che sta portando alla superfice il malessere profondo della classe media e dei salariati, falcidiati dalla de-industrializzazione messa a segno da un'economia non basata sulla produttività. E' il prezzo della" finanziarizzazione" e dell'insostenibile finanziamento al militarismo del polo militar-industriale.

 E' piuttosto il riflesso interno della diminuzione di egemonia complessiva e dell'impossibilità di imporre soluzioni unilaterali a tutto il globbo terracqueo, nella fase in cui si consolidano controparti geo-economiche che puntano  all'economia produttiva e al ritorno dell'oro.

C'è poco da invidiare l'elettore che può scegliere tra una protagonista "programmatica" dell'espansionismo globalista -giunto allo stadio del bellicismo- e un ruspante miliardario -arrogante e prepotente- che sciorina in pubblico quel che l'ipocrisia ufficiale bisbiglia solo a porte chiuse. E' uno scontro tra Wall Street contro tutti quanti gli altri? Tra capitalismo produttivo svincolato dal monoteismo del dollaro e assolutismo finanziario bellicista? Ai postumi l'ardua sentenza.
 


                                                                                           

                                                               



                                         

























































































































                                                                                                           









                                                   



     

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