jueves, 5 de marzo de 2009

Venezuela nazionalizza Cargill, non l'alimentazione

La Stampa gioca con i titoli e gli equivoci

Tito Pulsinelli
"Chávez nazionalizza il cibo" è il titolo scelto da La Stampa per informare che il governo di Caracas ha deciso di nazionalizzare uno dei tredici stabilimenti della multinazionale Cargill. Perchè? Compra il riso che è sovvenzionato da consistenti sussidi pubblici agli agricoltori, e pertanto ha un prezzo controllato, e poi lo commercializza a prezzi speculativi.

La Cargill ricorre all'espediente di aggregare al riso vari additivi o aromi, e così aggira il controllo dei prezzi dei beni di prima necessità. Dai suoi stabilimenti esce una quota spropositata di "riso arricchito" ed una evanescente di riso normale, quello più comprato dalle famiglie.
Stessa manfrina con le sardine: aggiungono qualche goccia di limone e vendono ai prezzi del "libero mercato". Però la Cargill non concede nessun credito agevolato ai coltivatori, nè investe nel ciclo produttivo.

E' una fuorviante distorsione, pertanto, parlare di misura che "nazionalizza il cibo", a meno che non si pretenda lasciar immaginare una rete di kolkoz e sovkoz che si faranno carico dell'alimentazione dei venezuelani.
Il governo ha investito molte energie e capitali nel settore agropecuario per ridurre drasticamente la storica importazione dell'80% degli alimenti consumati. E' una terribile vulnerabilità, una mela avvelenata prodotta dall'auge petrolifero e dall'abbandono integrale dell'agricoltura nel corso dell'ultimo mezzo secolo.

Attualmente, il Venezuela ha raggiunto l'autosufficienza con il mais e il riso, produce il 115% del fabbisogno di carne porcina, l'80% del pollame ed il 40% di carne bovina. Sono risultati lusinghieri, ottenuti a pochi anni da una moderata riforma agraria che ha colto l'obiettivo di rendere produttivi almeno 2 milioni e mezzo di ettari sui 18 milioni di ettari di terre disponibili e coltivabili. La Stampa lascia intendere che questi alimenti farebbero parte del "cibo nazionalizzato" da Chavez, ma non è così.

Il Venezuela vanta una superficie coltivabile che equivale alla metà di quella che rende l'Argentina un gigante che storicamente ha alimentato il mondo. La strada scelta da Chávez, però, non è quella di consegnare alla Cargill, Monsanto, Nestlè ecc il patrimonio rurale, per uno sviluppo basato sul moderno latifondismo della monocoltivazione, programmata all'esportazione al mercato mondiale. L'obiettivo è la sicurezza alimentaria, coprire prioritariamente il consumo interno, escludendo recisamente la coltivazione della soya OGM che -nel caso argentino- ha messo le mani sulla metà del suolo fertile.

Il quotidiano torinese fa riferimento all'inflazione del 30% che è un dato certo, fisiologico a un'economia dipendente, programmata sulla mono-esportazione di materie prime e condannata ad importare praticamente tutto il resto. Fino a qualche anno fa solo dagli Stati Uniti. Nel decennio 80-90, l'inflazione aveva raggiunto il 90% e si accompagnava alla drastica caduta dei consumi.
Attualmente, i redditi salariali sono al riparo dell'inflazione con il decreto che ogni primo maggio li aumenta e i consumi sono stati in costante crescita. Da qui una delle cause dell'inflazione del 30%: aumento dei consumi significa aumenti delle importazioni, visto che la domanda interna non è accompagnata da un ritmo equivalente di crescita industriale.

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/200903articoli/41619girata.asp

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