Copenhagen 13 dicembre
Le bozze, come è ovvio che sia, sono provvisorie. Ma quello che più colpisce delle due bozze negoziali uscite venerdì mattina sono i dati messi tra parentesi quadra, ed ancora oggetto nel negoziato.
Le forbici attorno alle quali si dovrebbero concentrare le decisioni dei capi di Stato sono: l'aumento della temperatura media che non dovrebbe superare gli 1.5°C o, in alternativa, i 2°C rispetto ai livelli preindustriali; il taglio delle emissioni delle parti prese collettivamente, che oscilla tra il 50%, l'85% o il 95% entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990; e, infine, la riduzione delle emissioni dei Paesi industrializzati, che oscilla tra il 75/85%, almeno l'80/95% o più del 95% entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990.
Una situazione che rispecchia ancora lo scontro che si sta consumando all’interno della Cop15. E che la società civile di tutto il mondo sta cercando di condizionare. “Cambiamo il sistema, non il clima” è stata la parola d’ordine della grande manifestazione di sabato, oltre 100mila persone hanno sfilato pacificamente e allegramente per le vie della città.
Nessuno scontro né lancio di molotov, nonostante le notizie che venivano riportate dai media italiani che parlavano di un clima da guerra civile, né visto né immaginato qui in Danimarca. Il dubbio che le immagini truci e le notizie fosche interessino alla nostra stampa più della serietà dei contenuti espressi (e la positività di una dimostrazione così grande) c’è, ed è palese.
Dalla piazza del Parlamento al Bella Center, gli oltre 20 blocchi che formavano il corteo hanno dimostrato che è necessario cambiare modello di sviluppo e che da Copenhagen potrebbe ripartire un movimento che, a livello globale, potrebbe rimettere assieme contadini e pescatori, ambientalisti e organizzazioni dell’economia solidale.
Soprattutto davanti all’inerzia di governi che, solo che un anno fa, hanno deciso di mettere mano al portafoglio per spendere migliaia di miliardi di dollari per salvare il sistema finanziario. “Too big to fail” , “troppo grandi per fallire” era la parola d’ordine riferita alle banche. Ci si domanda se anche il pianeta non sia un sistema “too big to fail” e se non sia il caso di mettere mano ai danni provocati da un modello di sviluppo impazzito.
Il rappresentante degli Stati insulari si è rivolto, con le lacrime agli occhi (e non metaforicamente), ad Obama: “Il nostro futuro è nelle vostre mani”, ha detto. Ed è nelle loro mani anche il futuro dei nostri figli. Parlano del 2050, quando nessuno di loro ci sarà più. Ma il cambiamento deve partire da oggi: radicale, deciso, concreto.
“Basta bla bla, agite subito” recitava un cartello in manifestazione. Mai parole così semplici hanno raccolto tanta saggezza.
Copenhagen, 11 dicembre
È come se durante un’alluvione, mentre l’acqua sta allagando il piano terra i vicini del piano di sopra continuino a giocare con i numeri. Il negoziatore algerino, a nome dei Paesi africani e davanti alla stampa mondiale, non poteva essere più chiaro. Il cambiamento climatico è oramai una certezza, persino un “ambientalista scettico” come Bjørn Lomborg, che per anni ha scritto libri e ribadito l’inconsistenza del rischio del “global warming” ha dovuto fare marcia indietro. Figuriamoci i global leader, a cominciare dal presidente europeo Barroso, che dell’Ue vorrebbe fare la paladina della salvezza del pianeta.
Il problema, al solito, sono i passi concreti. I Paesi avanzati “hanno presentato in questi giorni all'esterno molti elementi filosofici, ma all'interno non hanno fatto seguito elementi concreti. Abbiamo la necessità di conoscere i numeri del loro impegno -hanno richiamato i negoziatori africani- perché ci risulta che stiano facendo molti passi indietro in concreto rispetto agli obiettivi concordati a Bali”.
Che, per chiarezza, parlano di un impegno ancor più esigente per i Paesi industrializzati nel tagliare le proprie emissioni di gas serra e uno stanziamento di finanziamenti adeguato per le azioni di mitigazione e di adattamento al cambiamento climatico.
“L'Africa semplicemente non ha tecnologia e i soldi per affrontare i cambiamenti climatici. Siamo qui e lotteremo per avere un accordo vincolante, lotteremo per la nostra vita''. La conclusione della conferenza stampa dei Paesi africani non può essere più chiara. Nonostante alcune note di ottimismo espresse da alcuni negoziatori in via informale e da alcune organizzazioni della Società civile a mezzo stampa, la situazione è ancora molto aperta e non è chiaro come si posizioneranno i Paesi, soprattutto in questi ultimi momenti prima dell’arrivo dei Capi di stato.
Il G77, in un incontro con la società civile ha ribadito la sua posizione ferma su non più di 1.5 °C e non più di 350 ppm di CO2 in atmosfera. Un quadro più rigido rispetto al Protocollo di Kyoto, che prevederebbe tagli drastici nelle emissioni dei Paesi industrializzati: del 52% nel 2017, del 65% nel 2020, dell’80% nel 2030.
In questa situazione, non è dato sapere da dove l’ottimismo di alcuni prenda alimento. Intanto la macchina organizzativa dei movimenti si è messa in moto da diversi giorni. Solo oggi si contano circa 35 arresti per un presidio e un volantinaggio non autorizzato, dalla manifestazione del 12 dicembre inizierà una lunga fila di dimostrazioni a Copenhagen che si concluderà con “Reclaim the Power”, il 16 dicembre. Quando il mondo, oltre che a guardare, passerà all’azione.
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