lunes, 1 de noviembre de 2010

Dilma è Presidente del Brasile

Tito Pulsinelli
Dilma Roussef, con il 55% dei voti ha vinto le elezioni, battendo ampiamente Josè Serra che è rimasto a quota 44%. E' una vittoria nitida, netta, incontestabile: 12 milioni di voti di differenza. Per la prima volta, il Brasile sarà guidato da una donna, del Partito dei Lavoratori (PT), che garantirà la continuità dell'operato di Lula. E' stato sconfitto l'esponente preferito dai grandi gruppi finanziari, dall'oligarchia terriera e dalle elites orientate alla restaurazione, a politiche più selettive. E' una frenata brusca al tentativo di minimizzare il processo di inclusione favorito dal modello di Stato sociale edificato da Lula, che concilia lo sviluppo con l'integrazione regionale.

Josè Serra interpreta la tentazione tipica dei settori sudamericani tradizionalmente privilegiati: riportare le lancette dell'orologio ad un tempo che è il passato, prossimo, ma pur sempre passato. Il Brasile di oggi ha lasciato alle spalle il debito e l'inflazione cronica; oltre che gigante regionale è un protagonista di punta del nuovo mondo pluripolare. Le politiche sociali degli ultimi otto anni, sebbene parziali soprattutto per quel che attiene i latifondi e la riforma agraria, hanno consolidato una sorprendente stabilità e coesione interna: venti milioni di persone sono uscite dalla povertà e dalla sussistenza.

La gran virata a favore del blocco regionale sudamericano, ha dispiegato con lucidità una geopolitica che ha radici antiche nel Brasile, e questo ha aperto il nuovo corso politico dell'ultimo decennio. Resta sepolto nel mare della superficialità il tentativo di dividere tassonomicamente i nuovi gruppi dirigenti sudamericani in "buoni" (brasiliani) e "cattivi-populisti" (venezuelani, boliviani, ecuadoriani). Sono stati vani gli sforzi propagandisti di Josè Serra in tal senso, che non si è risparmiato neppure accuse di "fiancheggiamento" alla guerriglia colombiana alla sua avversaria.

Dilma Rousseff ha battuto agevolmente il candidato dei poteri forti, difensore delle ragioni del mercato sempre e comunque, come superiori e prioritarie su quelle sociali. Ha perso l'uomo che brandiva una bussola orientata a riallineare Brasilia esclusivamente con Washington. Non ha ancora capito che gli USA non sono più quelli di una volta: è un mercato decadente e troppo piccolo per le nuove esportazioni brasiliane. Washington non ottiene di frenare i vincoli con il blocco regionale, e tagliare con un colpo secco con la Russia, Cina e Iran. Continueranno, pertanto, gli intensi vincoli brasiliani con l'Africa ed escono rafforzate le relazioni con gli arabi.

Dilma Roussef ha il compito di accentuare le politiche sociali, pagare il debito storico con i settori dei lavoratori agricoli storicamente emarginati, e redistribuire con più generosità i superlativi benefici macro-economici ottenuti dal suo predeccessore. Sono di conforto i considerevoli giacimenti di idrocarburi esplorati nelle acque profonde costiere, sotto stretto controllo statale che -nell'ultimo biennio- hanno trasformato il Brasile in una potenza petrolifera.

In Sudamerica, l'orizzonte del cambiamento rimane aperto, nonostante i tentativi sediziosi delle elites regionali -e dei suoi "utili idioti"- di fomentare destabilizzazioni striscianti e golpe camuffati. Nè con le campagne di guerra psicologica del monopolio mediatico -hanno accusato Dilma persino di narcotraffico!- nè con i finanziamenti occulti della NED ed USIS, possono imporre i candidati dei gruppi monopolisti e della dittatura finanziaria estera. Il "partito imperiale" non può scalzare con i voti il "partito nazionale". Washington prenda atto che è finito il tempo in cui mettevano o buttavan giù governi a piacimento.

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