24 agenti CIA rapirono un presunto terrorista islamico nel centro di Milano
Pino Arlacchi
La Corte di Cassazione italiana ha chiuso il caso Calipari invocando un “difetto di giurisdizione”. Il soldato americano che ha ucciso il dirigente del SISMI in Iraq era coperto, secondo la Corte, da immunita’ diplomatica. La verità è che l’unico difetto di giurisdizione in questo caso è stato quello dello Repubblica italiana nel suo complesso di fronte all’ Impero americano e alla sua pretesa di giurisdizione universale.
Il cable di Wikileaks ha messo a nudo una vecchia storia, che è oggi diventata intollerabile: il nostro servilismo, il nostro essere sudditi di un governo mondiale a stelle e strisce che ha preteso di dominare il mondo secondo le sue leggi, i suoi tribunali e le sue carceri nel più completo disprezzo di quelle altrui. Anche di quelle dei paesi democratici, amici ed alleati.
Leggi scritte ed anche non scritte. Ma ferree, indiscutibili. Come quella che non si arresta né processa un soldato americano al di fuori degli Stati Uniti. Anche se ha commesso crimini efferati, flagranti, che dovrebbero essere perseguiti nel luogo in cui sono stati commessi o nel paese della vittima. Come nel caso Calipari e in decine di altri casi, dall’ Europa all’ Asia.
Che si tratti di una bravata di avieri esaltati che buttano giù una funivia come nel caso Cermis in Italia, costato la vita di 20 persone, o di una serie di stupri in Giappone o nelle Filippine eseguiti da militari di stanza nelle locali basi, o di veri e propri crimini di guerra, l’ impunità di fronte alle leggi non-americane del personale dislocato all’ estero è la regola osservata con scrupolo da dirigenti statali USA di ogni ordine e grado. I sospetti colpevoli vengono sottratti alla giustizia locale, portati negli USA, processati e poi assolti o premiati con condanne burla che suscitano indignazione e sdegno nei paesi colpiti.
Fratello gemello della prima regola è il diritto autoassegnatosi dagli Stati Uniti di funzionare come una polizia globale che interviene in qualunque parte dell’ Impero arrestando, sequestrando, incarcerando e perfino uccidendo senza processo chiunque venga etichettato come un pericolo per la sicurezza nazionale americana. La CIA, la polizia segreta agli ordini del Presidente USA, è stata creata per questo, e da più di mezzo secolo interviene all’estero senza curarsi della sovranità e delle leggi degli stati vassalli.
Abu Graib in Irak, Guantanamo a Cuba, e le prigioni segrete nell’ Europa dell’ Est per i presunti terroristi catturati di qua e di là dagli agenti USA dopo l’ 11 settembre, sono parte di un sistema giudiziario sovranazionale che nessuno ha autorizzato palesemente, ma che molti governi sottomessi hanno tollerato e coperto.
È questa la ragione per cui i servizi di sicurezza degli alleati europei sono stati sempre trattati come delle succursali locali dell’ intelligence americano, e non sono stati pochi i casi in cui questi servizi – ed i loro governi- hanno dovuto fare il lavoro sporco contro il loro stesso paese. Inchinandosi alle “ragioni superiori” dell’ Impero, ed usando il segreto di stato per nascondere malefatte imposte da oltreatlantico.
Solo in due casi l’Italia si è ribellata a queste norme non scritte del governo mondiale USA. Il primo è l’ incidente di Sigonella del 1985, quando Craxi si rifiutò di consegnare alle forze speciali americane i terroristi che avevano sequestrato una nave italiana, l’Achille Lauro, e che erano a bordo di un aereo obbligato ad atterrare presso la base militare di Sigonella. Infuriato per l’atto di insubordinazione, Reagan telefonò a Craxi per chiedere la consegna dei terroristi . Craxi non si mosse dalle sue posizioni: i reati erano avvenuti in territorio italiano, e sarebbe stata l’ Italia a decidere se e chi estradare. Si arrivò molto vicini allo scontro armato tra Carabinieri e Delta Force, ma fu Reagan infine a capitolare.
Il secondo episodio è il recente processo e la condanna in Italia, ma in contumacia, di 24 agenti CIA che hanno rapito un presunto terrorista islamico nel centro di Milano per inviarlo a un centro di tortura in Egitto. Gli agenti hanno agito come se fossero a casa loro, coadiuvati da una gruppo di personaggi SISMI che sono riusciti a farla franca solo perché coperti dalla solita vergogna del segreto di stato. Fa onore alla magistratura italiana di essere stata in questo episodio l’unica istituzione che ha saputo difendere la dignità dell’Italia.
Gli Stati Uniti, anche quelli di Obama, non si rendono conto che l’Impero è al tramonto. La sua legittimità non viene più riconosciuta perché è venuto a mancare, ormai dal lontano 1989, il grande nemico che giustificava il servizio di protezione offerto al resto dell’Occidente. Nessuno stato pensa che sia necessario cedere la propria sovranità perché soltanto gli USA sono in grado di difenderci dal terrorismo . E crescono le preoccupazioni per l’incapacità del governo americano di finirla di usare la violenza fisica all’estero e in spregio alla legalità democratica.
Ed è qui che Obama sta molto deludendo. È stato proprio lui a ripristinare di recente uno dei simboli più odiosi della delinquenza imperiale: l’ ordine scritto del Presidente di uccidere un individuo senza processo perché pericoloso per la sicurezza nazionale americana. In passato questo ordine veniva a colpire cittadini stranieri, adesso è stato emesso contro un cittadino americano sospettato di atti di terrorismo. Nessun paese occidentale riconosce una simile prerogativa, che viola i diritti umani e lo stato di diritto in nome di una concezione tirannica dell’ Impero. www.pinoarlacchi.it/it/articoli/342-intoccabili-stati-uniti-quando-il-diritto-cede-di-fronte-al-potere
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L'omertà e la complicità nazionali nelle epurazioni USA
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