miércoles, 16 de noviembre de 2011

Messico: “Silenzio complice” di fronte a sequestri e stupri sulle statali del paese

Sanjuana Martínez , “La Jornada”,  13=11=2011. Traduzione: Clara Ferri
Denise credeva di morire. Un gruppo armato, con divise militari, ha assaltato l’autobus in cui viaggiava da Monterrey a Zacatecas, ha sequestrato gli uomini, abbandonato a se stessi gli anziani e violentato le donne. L’incubo è durato varie ore. Il sequestro di autobus è la nuova realtà che si vive sulle statali del paese con il silenzio complice delle linee di trasporto di passeggeri. «Siete fottuti», ha detto il capo del gruppo quando hanno aperto la porta
 dell’autobus. Il veicolo, di proprietà del Gruppo Senda, era partito dalla stazione degli autobus all’una e mezza di notte e dopo due ore di strada si è fermato in mezzo al deserto. Il comando bloccava la statale. Di fronte all’ordine del delinquente, l’autista ha detto al microfono: «Passeggeri, c’è un’emergenza, scendete dall’autobus».
Nello scendere, circa dodici uomini con armi lunghe e divise militari che viaggiavano su quattro furgoni, hanno obbligato i 25 passeggeri e l’autista a disporsi con il volto verso l’autobus con le mani alzate e le gambe larghe. C’erano soltanto due donne, che sono state appartate insieme ai quattro anziani presenti; il resto dei passeggeri è stato inmediatamente caricato e portato via su tre dei loro veicoli. Hanno parlato tra di loro della benzina che avrebbero usato per incendiare l’autobus. Un furgone è rimasto parcheggiato: «Salite su, puttane!», hanno ordinato, indicando loro la parte posteriore della pick up, dove c’erano due uomini vestiti da militari che aspettavano; altri due erano nella cabina posteriore e uno guidava. Sono entrati un paio di chilometri nel deserto.



Denise e Hortensia non si conoscevano, ma sono state compagne di una tragedia. La prima ha opposto resistenza ed è stata brutalmente percossa; le hanno devastato parte del viso: «Così impari, troia!», le ha detto uno mentre si tirava giù i pantaloni. «Vogliamo divertirci», ha commentato un altro mentre strappava di dosso i vestiti a Denise. Gli altri tre gli si sono uniti velocemente. L’aggressione è durata un’ora. «Si sono tirati giù i pantaloni senza togliersi il resto dei vestiti. Il peso dei loro corpi mi ha immobilizzato. A un certo punto non ho più capito che cosa dicevano, mi sono concentrata sul suono dei grilli, sulla mia famiglia, sui miei amici», racconta Denise, di 28 anni.

Sono trascorse già diverse settimane. Soffre di depressione ed angoscia, ma dopo un trattamento e una terapia può ricostruire la storia: «Ho sentito che mi avrebbero ucciso. Ho pensato che mi avrebbero lasciato lì e che nessuno avrebbe saputo ciò che mi è successo. Ho cercato la mano dell’altra donna, che non conoscevo. Lei gridava di dolore; l’ho stretta con forza ed ho sentito nella sua mano una risposta uguale. È stato così come ci siamo afferrate alla vita».


Gli stupratori parlavano spagnolo a stento, avevano l’aspetto di gente del Sud, comunicavano tra loro in una lingua indigena che le vittime non hanno potuto riconoscere: «Erano come soldati o paramilitari. È stato un atto di potere su di noi. Non ce l’avevano neanche in tiro. Sembravano drogati. Ci hanno introdotto un tubo di plastica nell’ano. Ridevano (…) poi ci hanno buttato via come dei rifiuti».Dopo aver subito l’aggressione, si sono ritrovate nude su una collinetta della statale. Un autobus di passeggeri si è fermato; l’autista è sceso con una coperta e le ha invitate a passare direttamente alla cabina senza domandare nulla, come se la scena fosse quotidiana: “«Sono cose che succedono tutti i giorni sulle strade del paese e nessuno muove un dito».
 
Silenzio delle imprese
A differenza delle rapine a autobus interrurbani, negli ultimi mesi prevalgono i sequestri di autobus e passeggeri. Il mese scorso, un autobus è scomparso nel municipio di General Treviño (Stato del Nuevo León) sulla strada per Tamaulipas. «Avevano previsto una scala a Monterrey, ma non l’hanno fatta. I parenti hanno saputo che a General Treviño una persona armata ha sequestrato l’autobus con tutti i passeggeri sopra», ha detto il viceprocuratore dello Stato di Guanajuato, Armando Amaro Vallejo, dopo aver ricevuto la denuncia dei parenti per la scomparsa di sette abitanti dello stato.
Dall’inizio dell’anno ad oggi sono scomparsi circa un centinaio di abitanti di Guanajuato e di altri stati sulla strada per la frontiera, anche se il numero potrebbe essere maggiore, poiché le imprese di autobus restano in un silenzio ominoso riguardo a questi fatti per evitare il risarcimento dei danni causati ai passeggeri, il pagamento dell’assicurazione o la perdita dei clienti.
 
«Non possiamo garantire a nessun cittadino che non verrà rapinato in qualunque negozio, per strada o sui mezzi di trasporto, perché staremmo mentendo, ciò che possiamo fare è ridurre i fattori di rischio, che sono quelli che facilitano la realizzazione di attività illecite. Le misure finora adottate sono la contrattazione di servizi di sicurezza privata, l’installazione di barriere metal detector e di telecamere», dice Arturo Balderas Moya, direttore della Camera Nazionale di Autotrasporti di Passaggio e Turistici (Canapat), che riconosce che i punti più pericolosi sono nella zona di confine con gli Stati Uniti; inoltre manca un coordinamento e ci sono dei “vuoti legali” e ciò ostacola le indagini.
 
L’anno scorso la Canapat ha registrato soltanto 136 rapine, ma non ci sono statistiche del numero di autobus sequestrati, passeggeri o autisti scomparsi, né di stupri di donne. Le linee di autobus ADO, Senda, Transpaís, Estrella Blanca, Ómnibus de México, Futura, Transportes del Norte, Ómnibus de Oriente e altre hanno centinaia di bagagli degli scomparsi stivate nei loro capolinea di città di frontiera come Reynosa, Nuevo Laredo, Miguel Alemán e Piedras Negras.
Riguardo gli attacchi sessuali alle donne, le compagnie di trasporto su autobus sono più ermetiche: «Per quanti sforzi abbiamo fatto per dare visibilità al problema degli stupri, il corpo delle donne continua ad essere un bottino di guerra. Purtroppo ci continuano a considerare come cittadini di seconda categoria, per questo non vengono a galla, perché tra gli stessi uomini si proteggono», dice Maricruz Flores Martínez, del “Colectivo Plural de Mujeres contra la Violencia”.
 
Riconosce che la maggior parte delle vittime non denuncia queste aggressioni sessuali per paura: «Le donne vengono violentate non solo dalla criminalità organizzata, ma anche da membri dell’Esercito. Come possiamo opporre resistenza a uomini armati? Hanno il potere delle armi e utilizzano l’arma della minaccia per evitare che le donne aggredite sporgano denuncia».Qualche anno fa le donne venivano violentate sui taxi e siccome gli aggressori non erano armati, il fenomeno è diminuito grazie alle denunce, ai corsi educativi e alle mobilitazioni sociali; adesso –dice- il problema è maggiore, perché si tratta di uomini fortemente armati nel bel mezzo di una guerra: «Siamo completamente allo sbaraglio. Se come donne non scendiamo in piazza a gridare “Basta”, tutto continuerà allo stesso modo o peggiorerà».
 
Anche migranti
«Nove su dieci donne migranti vengono aggredite sessualmente durante il passaggio in Messico sulla strada per la frontiera con gli Stati Uniti», afferma Melissa Domínguez, membro della Piattaforma per lo Sviluppo Adolescente e Giovanile Indigeno. «Sono una minoranza quelle che non soffrono una violenza o un’estorsione sessuale (si va dalle molestie sessuali fino a dover “pagare” con il proprio corpo affinché l’agente della Polizia Migratoria, un militare o un trafficante le auti a varcare il confine o le lasci passare). Delle migranti che ho conosciuto, il 90 per cento ha subito delle violenze. Ho conosciuto varie donne che si fanno somministrare un’iniezione contraccettiva per evitare di essere messe incinta».Il problema è reso invisibile, concordano Melissa Domínguez e Maricruz Flores, per la mancanza di prevenzione e di interesse istituzionale di fermarlo: «Le donne hanno ancora paura di sporgere denuncia; a volte pensano: “mi hanno già violentato, adesso posso andare avanti”, un’idea che ha a che vedere con i loro processi personali e la paura di essere deportate».
 
Una delle testimonianze raccolte da Belén Posada (Rifugio) del Migrante, è quella di Nancy, salvadoregna di 24 anni sequestrata da Los Zetas a Coatzacoalcos (Stato di Veracruz) e rinchiusa in una “casa di sicurezza” a Reynosa (Stato di Tamaulipas), dove c’erano solo donne utilizzate come schiave sessuali: «Durante tutto questo periodo, spesso arrivavano tre uomini messicani, i capi, e violentavano le donne come me che erano state sequestrate. Ho dovuto aspettare che mia zia mettesse insieme i soldi per pagare il mio riscatto».

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