viernes, 5 de octubre de 2012

Venezuela: il Fatto Quotidiano fiancheggia il magnate neoliberista

"Quale che sia il risultato finale" il perdente sarà Chávez, dice l'inviato Cavallini - Alibi preventivo d'un fazioso tifoso globalista
Tito Pulsinelli 
Indietro tutta, il sistema elettorale venezuelano è "libero ma non equo". E' l'avvincente tesi esposta sul Fatto quotidiano da Massimo Cavallini. E' la nuova formula in voga dopo che Jimmy Carter ne ha ribadito l'assoluta affidabilità. Non sarebbe "equo" perchè il presidente Chávez fa uso della facoltà legale di fare trasmissioni a rete unificate. Si tratterebbe di uno sproporzionato ed autoritario favoritismo, dice il nostro, condensato in due cifre. Il
gioco di Chávez è truccato nella misura di 16 a 1 contro il candidato Capriles, che soffrirebbe per ben 1359 ore contro le 84 del povero neoliberista. Parola dell'Università Carrolica Andres Bello,  cioè di una Bocconi al cubo, però finanziata dallo Stato! Davvero commovente come il nostro metta le mani avanti e dica sostanzialmente che la sconfitta di Capriles Radonsky è certa, ma sarebbe causata dalla dittatura mediatica statale di Chávez . Non dal suo programma liberista e radicalmente privatizzatore. DI 111 CANALI TELEVISIVI, 61 SONO PRIVATI, 37 COMUNITARI E 13 PUBBLICI. (1)

E' struggente, ma degna di miglior causa, la difesa del diritto alla libertà d'espressione del giovane rampollo d'una casata che -tra i 14 gruppi industriali che ha in suo avere- possiede anche la multimediatica Catena Capriles, che pubblica vari quotidiani e numerose riviste. E' come dire che Debenedetti è ridotto a parlare nei parchi pubblici, vicino ai vespasiani. Per ristabilire la deflorata "equità", gli unici informanti che Cavallini Zorro ha consultato dispongono di una ricetta unica: "regolamentare" la televisione pubblica. Non quella privata, non quelle regionali, non il circuito di radio FM interamante in mano private, non la carta stampata. Insomma, si dovrebbe controllare solo la RAI, non Mediaset e gli altri media. 

Sarebbe una inqualificabile eresia regolamentare le risorse finanziarie convogliate dai banchieri fuggiaschi, dalla grande rendita parassitaria, dal narcocartello di Uribe e gli "aiuti alla democrazia" elargiti dal Dipartimento di Stato al signor Capriles. I media privati sono liberi e sovrani, vanno controlati solo quelli pubblici , dice il Cavallini rilanciando a bischero sciolto gli arroganti argomenti delle selezionate fonti a lui care. Invece, ben fa Chávez a ristabilire l'equilibrio informativo con i suoi messaggi a reti unificate. Esiste un totale sblilanciamento a favore dei media privati nel corso dell'intero anno solare, non solo in periodo elettorale.

L'inviato del Fatto non ha resistito dal dissotterrare l'argomento paspartout della rete RCTV che -allo scadere della concessione- tornò allo Stato. In Venezuela le frequenze sono un bene pubblico regolamentato, il governo le dà in concessione a terzi per un periodo prestabilito. Evidentemente, per lui il modello valido è Mediaset, cioè l'omaggio perpetuo elargito a Berlusconi e discendenti. In Argentina ed Ecuador, laddove il totalitarismo mediatico è improntato alla guerra psicologica, i legislatori hanno approntato normative per garantire la diversificazione dello spettro informativo. Per limitare lo straripante monopolismo privato e prendere in considerazione anche il diritto degli utenti all'informazione diversificata. 

Non solo il sistema elettorale è censurato, ma pure il sistema sociale venezuelano che secondo l'analisi Cavalliniana sarebbe -tenetevi forte- "metà democrazia e metà autocrazia", in cui l'unica luce che brilla con fulgore è quella d'una sola parte politica. Tenebre rischiarate -per fortuna- dalle virtù cristalline d'un solo candidato presidenziale, che  ha riconosciuto la legittimitá solo delle elezioni che ha vinto come sindaco o governatore regionale.

Sentite questa prodigiosa veggenza: "quale che sia il risultato finale" Chávez ne uscirà come perdente (sic). Ohibò, sembra un alibi prefabbricato, una giustificazione preventiva a bocce ancora in movimento. Se Chávez vince con un vantaggio del 16% come nel 1998 è dittatura; se finisce con +22% come nel 2006, è una cosa sospetta di tipo "bulgaro". Bisogna decidersi: troppo o troppo poco? 
Se Obama o Hollande, o chiunque altro, vincono con il 2% è OK, etico ed esemplare! A Chávez non basta un +10% perchè "quale che sia il risultato finale", i tifosi neoliberisti alla Cavallini non si danno mai pace. Non è Chávez a preoccuparli, ma la sua politica che ha dimostrato di essere una alternativa vincente contro i dogmi d'un sistema in piena dissolvenza. 

Con buona pace del  faziosetto scrivano, il sistema deve soddisfare i venezuelani, e questi hanno molte ragioni per scegliere la continuità d'una politica che alla crescita abbina la redistribuzione sociale. Lui, quelli che gli somigliano o che gli reggono il bordone, non è proprio in condizione di dare lezioni a nessuno. Almeno per salvare le apparenze, farebbe bene a diversificare, equilibrare e comparare le sue fonti. 
Note
(1)
l’audience dei canali pubblici non passa il 5,4 %, mentre quella dei privati supera il 61% (Mark Weisbrot e Tara Ruttenberg, Television in Venezuela: Who Dominates thè Media?”



2 comentarios:

amaryllide dijo...

"Se Obama o Hollande, o chiunque altro, vincono con il 2% è OK"
è OK anche se vincono non col voto degli elettori, ma con quello di giudici dello stesso partito del vincitore, come Bush jr la prima volta.

Avenarius dijo...

Il fatto quotidiano ha una importante funzione nella cerchia del mainstream mediatico: è schierato in maniera più velata con le classi dominanti (a differenza, ad esempio, della "repubblichetta delle banane"), ma dà a vedere di essere un giornale "alternativo"; riesce quindi ad intercettare il malcontento delle masse italiote arrabbiate (il lettore della "repubblichetta" è l'elettore snob piddino, non ancora completamente preso nei tentacoli della crisi) e che pensano che la colpa di ogni male siano esclusivamente il "debbbito pubblico", la "corruzzzione", la casta etc.

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