Arabia
saudita disponibile fino a 75 $ - Indispensabile petrolio caro per
sviluppare il fracking
Il
prezzo del petrolio ha subito una caduta rilevante, attestandosi
attorno all'emblematica
soglia degli 80 dollari
per barile. Varie cause concorrono a determinare questo evento,
quella di fondo è senza dubbio la recessione che ha provocato una
caduta
dei consumi e produzione nell'UE
e
USA.
Segue il
ritorno del crudo dell'Iran
al mercato internazionale e la risposta dell'Arabia saudita che ha
abbassato il prezzo ai clienti asiatici, per
creare difficoltà agli
iraniani. In terzo luogo vi è il petrolio
depredato dal cartello terrorista all'Iraq e Siria,
venduto in Turchia a prezzi stracciati. In altri termine, è un
ritorno di utilità immediata
per
gli
ingenti
finanziamenti
destinati
al
terrorismo o
“ribelli moderati”.
Nel frattempo, gli USA mandano i loro
bombardieri
sulle “raffinerie clandestine”, sui depositi di armi di EI-Daesh
(in
realtà silos di grano),
centrali elettriche e altre infrastrutture civili, siriane e iraqene.
Gli
interessi della petromonarchia feudale Saudita a sgretolare fino
all'implosione la Siria, e a
creare
ogni
difficoltà finanziaria
possibile
all'Iran -considerato il vero nemico strategico- sono sostanzialmente
convergenti con la contraddittoria politica internazionale di
Washington. E
di una farraginosa UE, sempre più ridotta
a
carrozzone
al
rimorchio della NATO.
Finora
l'UE ha incredibilmente incrociato le armi con tutti i suoi
rifornitori di idrocarburi
L'economia monoproduttiva dell'Arabia
saudita
tuttavia -anche
se in cima alla vetta mondiale degli
esportatori
di
energia- vive
pur
sempre e solo
di petrolio.
Venduto quasi esclusivamente agli USA.
Non
può certo permettersi il crollo verticale dei prezzi per il piacere
masochista di complicare la vita o prendere vantaggi sulla
concorrenza. Il senso concreto dell'attuale politica saudita è
quello di ridurre
i prezzi petroliferi, fino al punto di rendere
svantaggiosi gli ingenti investimenti
indispensabili alla
nuova industria del gas di scisto (fracking).
Al di là dell'ottimismo pubblicitario della Casa Bianca, giunta a
parlare incautamente di “autosufficienza energetica”, per elevare
la
sua modesta estrazione gasifera è indispensabile che il petrolio sia
caro.
Per
i Sauditi è l'opposto, e sono disposti alla discesa temporanea del
barile a 75 dollari, perchè calcolano che gli ingenti capitali da
immettere nello scisto
sono poco redditizi o a rischio se il petrolio costa meno di 90
dollari. Ai clan reali di Ryad non piace affatto la “autosufficienza
energetica” di Washington. E' un altro sinistro scricchiolio del
patto
di sangue strategico
tra petrolio e dollaro, in cui gli USA hanno sempre fornito
banconote, indispensabile ai terzi per la compra dell'idrocarburo.
Sul
fronte del Venezuela, invece, questo scossone nella quotazione è
visto con relativo
distacco, poichè il bilancio nazionale calcola
sempre le
entrate petrolifere con un prudenziale prezzo
del barile a 50 dollari. Ha sollecitato una riunione straordinarria dell'OPEC per analizzare il nuovo contesto energetico, caratterizzato da volumi crescenti e prezzi minori. Nel mirino dei Sauditi vi è anche la Russia, ma questo sta indicare che gli obiettivi prescelti sono troppi e potrebbe essere un pericoloso gioco d'azzardo.
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