Difendere pluralità e policentrismo delle culture
Tito Pulsinelli Abbondano quelli che credono che il mondo sarà migliore quando si sarà uniformizzato, cioè dopo la scomparsa di ogni stile di vita difforme e di tutte le culture locali. Costoro, ovviamente, assimilano la molteplicità, peculiarità e specificità delle culture e dei popoli alla superstizione e ai pregiudizi.
Ne fanno abusivamente una sorta di amalgama di sciovinismo e nazionalismo,
quando non un'espressione indefinita e deprecabile di residuale passatismo o fascismo. Da estirpare o sterilizzare come meritoria igiene del mondo. L'arroganza dei nuovi crociati modernisti, fans tardivi della “fine della storia”, sprigiona odio verso tutto quanto ci ha preceduto. Diffondono l'idea rassicurante che ogni passato è stato un errore, indicibile barbarie o raccapricciante fondamentalismo.
Fieri di presumere una supposta superiorità del presente su ogni passato, e dell'unidimensionalismo su ogni altra fase del ciclo evolutivo. Ogni trascorsa mitologia, poesia, architettura, musica e medicina sarebbe di per se – “a prescindere”, diceva Totò- "inferiore" al neo-totalitarismo economico che ha ridotto i saperi a mera tecnica. Per di piú subordinata alla moltiplicazione centrifuga della pecunia. Ad ogni costo, incluso quello manicheo dello “scontro delle civiltà”
Sembra che gli arroganti che esigono l'estinzione forzata delle culture locali nell'unicità del globalismo, siano il frutto rarissimo di una assai singolare autogenesi. Non il risultato dell' evoluzione o più probabilmente di qualche patologia degenerativa. Il puerile narcisismo degli ultimi ideologizzati sopravvissuti, suggerisce che non sarebbero tributari di nessun passato. Di nessuna tradizione. Autocreazione pura, originati dal nulla non perfettibile, pertanto depurati e invulnerabili a ogni influsso “maligno”. Incontaminati da qualsiasi altra cultura “periferica” che -a tal titolo- vogliono estirpare con furore.
Allora da dove arriva la cultura globale? Perchè si colloca al sopra o fuori di ogni processo di interazione dei linguaggi e delle memorie, o del confluire di conoscenze che si condiziona(ro)no reciprocamente? Se alle spalle non c'è la creatività e la sapienza di almeno una tradizione, allora il globalismo culturale è una coloniale e ordinaria estensione di una sola sottocultura.
Espansionismo con ambizione planetaria di una cultura scarnificata: indetenibile complesso di superiorità, aggrappato all'adorazione dell'usura come elemento fondante della socialità.
Tito Pulsinelli Abbondano quelli che credono che il mondo sarà migliore quando si sarà uniformizzato, cioè dopo la scomparsa di ogni stile di vita difforme e di tutte le culture locali. Costoro, ovviamente, assimilano la molteplicità, peculiarità e specificità delle culture e dei popoli alla superstizione e ai pregiudizi.
Ne fanno abusivamente una sorta di amalgama di sciovinismo e nazionalismo,
quando non un'espressione indefinita e deprecabile di residuale passatismo o fascismo. Da estirpare o sterilizzare come meritoria igiene del mondo. L'arroganza dei nuovi crociati modernisti, fans tardivi della “fine della storia”, sprigiona odio verso tutto quanto ci ha preceduto. Diffondono l'idea rassicurante che ogni passato è stato un errore, indicibile barbarie o raccapricciante fondamentalismo.
Fieri di presumere una supposta superiorità del presente su ogni passato, e dell'unidimensionalismo su ogni altra fase del ciclo evolutivo. Ogni trascorsa mitologia, poesia, architettura, musica e medicina sarebbe di per se – “a prescindere”, diceva Totò- "inferiore" al neo-totalitarismo economico che ha ridotto i saperi a mera tecnica. Per di piú subordinata alla moltiplicazione centrifuga della pecunia. Ad ogni costo, incluso quello manicheo dello “scontro delle civiltà”
Sembra che gli arroganti che esigono l'estinzione forzata delle culture locali nell'unicità del globalismo, siano il frutto rarissimo di una assai singolare autogenesi. Non il risultato dell' evoluzione o più probabilmente di qualche patologia degenerativa. Il puerile narcisismo degli ultimi ideologizzati sopravvissuti, suggerisce che non sarebbero tributari di nessun passato. Di nessuna tradizione. Autocreazione pura, originati dal nulla non perfettibile, pertanto depurati e invulnerabili a ogni influsso “maligno”. Incontaminati da qualsiasi altra cultura “periferica” che -a tal titolo- vogliono estirpare con furore.
Allora da dove arriva la cultura globale? Perchè si colloca al sopra o fuori di ogni processo di interazione dei linguaggi e delle memorie, o del confluire di conoscenze che si condiziona(ro)no reciprocamente? Se alle spalle non c'è la creatività e la sapienza di almeno una tradizione, allora il globalismo culturale è una coloniale e ordinaria estensione di una sola sottocultura.
Espansionismo con ambizione planetaria di una cultura scarnificata: indetenibile complesso di superiorità, aggrappato all'adorazione dell'usura come elemento fondante della socialità.
In
pratica, colonizzazione
della vita quotidiana come
feroce
determinazione a
cancellare i legami profondi che ricongiungono i vivi ai morti, il
passato al presente, e questo al divenire. Difendere
la pluralità e policentrismo delle culture
dall'assalto di ogni universalismo. Soprattutto
quando si riduce a scoria inquinante della macchina
economica
che pretende assoluta sottomissione dell'umano
e del
naturale.
Difendere
la biodiversità
significa
attestarsi sui campi di resistenza della
civiltà umana.
Far
quadrato contro l'individualismo e l'atomizzazione
sociale
e culturale,
passa
per il superamento dell'unipolarismo, cioè del concetto erroneo
di
un centro
unico
e molte periferie. Al
contrario, lo stato attuale delle cose evidenzia con forza
l'esistenza multicentrica di vari poli, diversi e confluenti, lontani da ogni universalismo, scientista o
pseudo-religioso.
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