lunes, 14 de agosto de 2017

Venezuela - La clava di Trump: bombe contro voti


Egemonia calante, avventurismo crescente - Sulla lista nera i 458 Costituenti eletti da 8 milioni di cittadini 

Coriolanis Scalata retorica di Trump che proprio non riesce a controllarsi quando dá la stura alle intimidazioni militari o ai messaggi in stile "mafioso". 

E' piú forte di lui. Sprofonda nella costernazione quel settore della diplomazia USA che aveva lentamente lavorato a isolare il Venezuela, riuscendo faticosamente a mettere assieme 17 paesi (sui 34) del continente americano.Christopher Sabatini, studioso delle relazioni interamericane dell'Universitá di Columbia, ha dichiarato che dopo settimane
passate a "...prepararere pazientemente il terreno per una risposta internazionale collettiva al Venezuela, all'improvviso si ritrovano i loro sforzi minati da affermazioni esagerate ed anacroniste che...ci fanno vedere imperialisti, come ai vecchi tempi. Questo non corrisponde a come gli USA si sono comportati da vari decenni". Dopo aver iscritto nelle liste di proscrizione anche i 458 rappresentanti popolari eletti da 8 milioni di voti alla Costituente, ora Trump si mette a nudo: risponderà ai voti con proiettili e bombe. Nell'ultima settimana, l'associazione industriale della raffinazione (AFPM) ha manifestato che il blocco degli acquisti di petrolio al Venezuela sará un "boomerang". 

Poi é stata la volta del Congresso che cerca di frenare un frettoloso embargo. Di certo, Washington ha spinto sulle sanzioni commerciali indirette: "qualsiasi corporazione debba servirsi della piattaforma bancaria USA sentirá ripercussioni ed effetti negativi". Credit Suisse rinuncia a trattare i buoni del tesoro e titoli della statale PDVSA, successivi al luglio 2017. Paralizzando la possibilitá dei pagamenti delle importazioni, sperano di togliere ossigeno al "dittatore" Maduro,  Alimentazione e medicinali saranno le prime vittime di questo giro di vite, vale a dire i settori piú vulnerabili della popolazione. Penalizzati per cattiva condotta elettorale?


Sembrerebbero sconcertanti queste ardite sortite, qualora si dimenticasse che a Washington é in atto uno scontro tra fazioni contrapposte. Si é incistato uno sordo conflitto interno all'establishment e prende la forma di una larvata "rivoluzione colorata"domestica, Pertanto è una situazione pericolosa: la collisione esaspera la precarietá decisionale, e si diffonde il miraggio del bellicismo come toccasana per la paralisi e la crescente polarizzazione nella federazione.


Va da sé che le minacce estese all'intero mercato-mondo sono -a medio termine- altrettanti incentivalla de-dollarizzazione, a ricercare altri mercati di approvvigionamento, differenti modalitá di pagamento, uso di altri segni monetari, alternativi alle forche caudine obbligatorie del sistema SWIFT.


La Casa Bianca, sempre piú preda della psicosi di un attacco simultaneo al "fronte energetico" (Russia, Iran e Venezuela), riuscirá a capire che il mondo attuale é qualcosa di piú vasto della fittizia latitudine denominata "occidente"? Gli USA sono la seconda economia e nel Gsolo tre sono global players. Linsistenti e unilaterali sanzioni e boycott, penalizzano e indispongono anche la recalcitrante Berlino+UE che ne fa le spese. Verso Caracas, peró, assecondano la narrativa strumentale di Trump, rimanendo coinvolti innecessariamente dalla piromania contro il "fronte energetico". Agiscono con la singolare schizofrenia dei sanzionati che diventano sanzionatori.


L'America latina é una zona di pace, denuclearizzata, e cosí intende rimanere. Guarda con profonda preoccupazione come la NATO -due mesi fa- abbia iniziato una collaborazione ufficiale con la Colombia -paese fondato sulla guerra civile permanente- primo esportatore mondiale di cocainamaggiore economia criminale del subcontinente, con il record di rifugiati e sfollati interni. E' francamente inammissibile che assieme al
Messico -disarticolato da 30 anni di ultraliberismo e semi-annesso alla federazione USA- possano essere indicati come modello degni di imitazione, per il Venezuela o per l'America non-anglosassone

E' tempo di accettare l'evidenza: nelle Americhe é tramontata per sempre ogni possiblità di resuscitare la "dottrina Monroe" o rammendati "corollari Roosvelt" perchè è priva di base -a parte quella letteraria- ogni nostalgineocoloniale del "patio trasero". A sud del Rio Bravo fino alla Patagonia, oggi dispongono di piú frecce al proprio arco. Esistono altre rotte per i propri commerci, nuove fonti da cui attingere tecnologie, risorse finanziarie e mezzi militari, sotto il segno della complementarietá multipolare. La caparbietà e l'arroganza potrebbero implicare il ritorno della presenza della Russia nei Caraibi, in primo luogo a Cuba.


Blocco petrolifero, raffinerie del Venezuela in USA - Russia e Cina


Secondo le fonti ufficiali, finora il Venezuela e la Cina hanno investito congiuntamente 62 miliardi di dollari in 790 progetti, parte già in esecuzione ed altri conclusi. Di questi stanziamenti, 20 miliardi fanno capo al Fondo Comune creato nel 2008, e gli altri 42 miliardi provengono dal Fondo Pesante di Lungo Termine inaugurato nel 2010.


La parte piú consistente di questi investimenti é stata captata dalla partecipazione azionaria di Pechino nell'area degli idrocarburi, specificamente in Petrozumano, Petrourica y Petrosinovensa, che porteranno gli invii di petrolio venezuelano a piú di 1 milione di barili al giorno. Parallelamente, sono in fase avanzata i progetti nel settore del nikel, miniere d'oro e sviluppo agroalimentare


La Russia, invece, negli ultimi due anni ha investito in Venezuela 20 miliardi di dollari. Igor Sechin dell'impresa russa Rosneft ha ribadito l'importanza della partecipazione nel settore gasifero del paese sudamericano: "Non ce ne andremo, nessuno puó espellerci...si tratta del paese numero uno al mondo per risorse energetiche, qualsiasi compagnia petrolifera e gasifera deve aspirare a lavorare lí..."


E' per questa ragione che risultano semplicistiche o superficiali, le pressioni con esclusiva finalità di castigo politico esercitate su Trump dall'anticastrismo antidiluviano di Miami (senatore Marco Rubio); dalla lobby petrolifera o direttamente dalla multinazionale Exxon (ministro esteri Rex Tillerson). Entrambi non fanno mistero dell”ambizione ad un blocco delle importazioni di petrolio provenienti dal Venezuela. Agitano questa clava senza soffermarsi 

ripercussioni negative per la società nordamericana.

Il Congresso USA teme una destabilizzazione sociale di carattere non transitorio nel subcontinente, con un immediato rialzo della quotazione del greggio che favorirebbe la Russia e l'Iran. E paventano la possiblità che le raffinerie possedute nella costa del Golfo dalla statale venezuelana CITGO, passino nel portafoglio della russa Rosneft.


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