Quarantene preventiva per chi viaggia dalla Svizzela all'Italia |
Raoul Vaneigem - Lo
choc del coronavirus non ha fatto che mettere in esecuzione il giudizio
pronunciato contro se stessa da un’economia totalitaria fondata sullo
sfruttamento dell’uomo e della natura. Il
vecchio mondo fa fallimento e crolla. Quello nuovo, costernato per l’ammucchiarsi
delle rovine, non osa eliminarle; più impaurito
che risoluto, prova pena a ritrovare l’audacia del bambino che impara a camminare. Come se aver lungamente urlato al disastro lasciasse il popolo senza voce.
che risoluto, prova pena a ritrovare l’audacia del bambino che impara a camminare. Come se aver lungamente urlato al disastro lasciasse il popolo senza voce.
Eppure
quelle e quelli che sono sfuggiti ai tentacoli mortali della merce sono in
piedi tra le macerie. Si svegliano alla realtà di un’esistenza che non sarà più
la stessa. Desiderano affrancarsi dall’incubo che ha loro inferto lo
snaturamento della terra e dei suoi abitanti.
Non
è forse la prova che la vita è indistruttibile? Non è su questa evidenza che
s’infrangono sulla stessa risacca le menzogne che scendono dall’alto e le
denunce che salgono dal basso?
La
lotta per il vivente non ha bisogno di giustificazioni. Rivendicare la sovranità
della vita è in grado di annientare l’impero della merce, le cui istituzioni
sono mondialmente scosse.
Finora
ci siamo battuti solo per sopravvivere. Siamo rimasti confinati in una giungla sociale,
dove regnava la legge del più forte e del più furbo. Abbandoneremo
l’imprigionamento al quale ci obbliga l’epidemia di coronavirus per reintegrare
la danza macabra della preda e del predatore? Non è dunque chiaro per tutti che
l’insurrezione della vita quotidiana, di cui i Gilet jaunes sono stati in Francia
il segno annunciatore, non è altro che il superamento di questa sopravvivenza
che una società di predazione non ha smesso d’imporci quotidianamente e
militarmente?
Quel
che non vogliamo più
è
il fermento di quel che vogliamo
La
vita è un fenomeno naturale in ebollizione sperimentale permanente. Non è né buona
né cattiva. La sua manna ci fa dono della spugnola quanto dell’amanita
falloide. Essa agisce in noi e nell’universo come una forza cieca, ma ha dotato
la specie umana della capacità di distinguere la spugnola dall’amanita, e
qualcosa di più! Ci ha armato di una coscienza, dandoci la capacità di crearci
ricreando il mondo.
Per
farci dimenticare questa straordinaria facoltà, c’è voluto che pesasse su di
noi il peso di una storia cominciata con le prime città-Stato e che termina –
tanto più in fretta se le diamo una mano – con il crollo della mondializzazione
mercantile.
La
vita non è una speculazione: se ne fotte dei segni di rispetto, della
venerazione, del culto. Non ha altro senso che la coscienza umana di cui ha
dotato la nostra specie per illuminarla.
La
vita e il suo senso umano sono la poesia fatta da uno, da tutte e da tutti. Una
poesia siffatta ha sempre brillato del suo splendore nei grandi sollevamenti
della libertà. Non vogliamo più che sia, come per il passato, un lampo
effimero. Vogliamo mettere in atto un’insurrezione permanente, all’immagine del
fuoco passionale della vita che si calma, ma non si spegne mai.
Contadini della Russia rurale sfilano con le loro icone |
Dal
mondo intero s’improvvisa una via dei canti[1]. È là che la nostra
volontà di vivere si plasma spezzando le catene del potere e della predazione.
Delle catene che noi, donne e uomini, abbiamo forgiato per la nostra disgrazia.
Eccoci
nel cuore di una mutazione sociale, economica, politica ed esistenziale. È il
momento di “Hic Rhodus, hic salta”.
Non è un’ingiunzione a riconquistare il mondo da cui siamo stati cacciati. È il
soffio di una vita che l’irresistibile slancio dei popoli ristabilirà nei suoi
diritti assoluti.
L’alleanza con la natura esige la
fine del suo sfruttamento lucrativo
Non
abbiamo preso abbastanza coscienza della relazione concomitante tra la violenza
esercitata dall’economia nei confronti della natura che essa depreda e la
violenza con cui il patriarcato colpisce le donne fin dalla sua istallazione,
tre o quattromila anni prima dell’era cosiddetta cristiana.
Con
il capitalismo verde-dollaro, il saccheggio brutale delle risorse terrestri
tende a cedere il posto alle grandi manovre della corruzione. In nome della
protezione della natura, è ancora la natura che è messa in vendita. Lo stesso
accade nei simulacri dell’amore quando il violentatore si agghinda da seduttore
per meglio accalappiare la sua preda. Da tempi immemorabili, la predazione
ricorre alla pratica del guanto di velluto.
Siamo
all’ora in cui una nuova alleanza con la natura riveste un’importanza preminente.
Non si tratta evidentemente di ritrovare – come si potrebbe? – la simbiosi con
l’ambiente naturale nella quale evolvevano le civiltà della raccolta prima che
una civiltà fondata sul commercio, l’agricoltura intensiva, la società
patriarcale e il potere gerarchico venisse a soppiantarle.
Si
sarà capito, però, che si tratta ormai di restaurare un ambiente naturale in
cui la vita sia possibile, l’aria respirabile, l’acqua potabile, l’agricoltura
sbarazzata dai suoi veleni, le libertà di commercio revocate dalla libertà del
vivente, il patriarcato smembrato, le gerarchie abolite.
Gli
effetti della disumanizzazione e degli attacchi sistematici contro l’ambiente
non hanno avuto bisogno del coronavirus per dimostrare la tossicità
dell’oppressione mercantile. Per contro, la gestione catastrofica del
cataclisma ha mostrato l’incapacità dello Stato a far prova della minima
efficacia al di fuori della sola funzione che sa esercitare: la repressione, la
militarizzazione degli individui e delle società.
Disinfestazione dei bagagli |
La
lotta contro lo snaturamento non sa che farsene delle promesse e delle lodevoli
intenzioni retoriche, che siano o no prezzolate dal mercato delle energie
rinnovabili. Essa riposa su un progetto pratico che scommette sull’inventiva
degli individui e delle collettività. La permacultura che restituisce alla
natura le terre avvelenate dal mercato dei pesticidi, non è altro che una
testimonianza della creatività di un popolo che ha tutto da guadagnare
dall’annientamento di quel che ha congiurato la sua perdita. È tempo di bandire
quegli allevamenti concentrazionari in cui il maltrattamento degli animali è
stato in particolare la causa della peste porcina, dell’influenza aviaria,
della mucca resa pazza da quella follia del denaro feticizzato che la ragione
economica tenterà ancora una volta di farci ingoiare se non digerire.
Hanno
forse un destino molto diverso dal nostro, quelle bestie di batteria che escono
dal confinamento per andare al macello? Non siamo forse in una società che
distribuisce dividendi al parassitismo dell’impresa e lascia morire uomini,
donne e bambini per mancanza di mezzi terapeutici? Un’imparabile logica
economica alleggerisce così i carichi di bilancio, imputabili al numero
crescente di vecchie e di vecchi. Essa preconizza una soluzione finale che li
condanna impunemente a crepare in case di riposo sprovviste di mezzi e di
personale curante.
C’è stato a Nancy, in Francia, un alto responsabile della
sanità che è arrivato a dichiarare che l’epidemia non è una ragione valida per
non sopprimere ancora più letti e personale ospedaliero. Nessuno l'ha cacciato
a grandi calci nel sedere. Gli assassini economici suscitano meno commozione di
un malato mentale che corra in strada brandendo il coltello dell’illuminazione
religiosa.
Non
invito alla giustizia del popolo, non preconizzo di settembrizzare[2] gli spilorci del fatturato. Domando soltanto che la generosità
umana renda impossibile il ritorno della ragione mercantile.
Tutti
i modi di governo che abbiamo conosciuto sono falliti, disgregati dalla loro
crudele assurdità. Appartiene al popolo mettere in atto un progetto di società
che restituisca all’umano, all’animale, al vegetale, al minerale un’unità
fondamentale.
La
menzogna che qualifica di utopia un tale progetto non ha resistito allo choc
della realtà. La storia ha marcato la civiltà mercantile di obsolescenza e
d’insania. L’edificazione di una civiltà umana non solo è diventata possibile,
essa inaugura il solo cammino che appassionatamente e disperatamente sognato da
innumerevoli generazioni, si apre sulla fine dei nostri incubi.
La
disperazione ha, infatti, cambiato campo, appartiene al passato. Ci resta la
passione di un presente da costruire. Prenderemo il tempo di abolire il time is money che è il tempo della morte
programmata.
La
rinaturalizzazione è un brodo di nuove culture in cui dovremo avanzare con
difficoltà, tra confusione e innovazioni nei settori più diversi. Forse abbiamo
dato troppo credito a una medicina meccanicista che tratta spesso il corpo come
fa un garagista con la vettura di cui prende cura. Come non diffidare di un
esperto che vi ripara per farvi tornare al lavoro?
Soldati sorvegliano un cordone sanitar in Romania |
Così
a lungo martellato dagli imperativi produttivisti, il dogma dell’antinatura non
ha contribuito, forse, a esasperare le nostre reazioni emotive, a propagare
panico e isterica fissazione sull’ordine pubblico, esacerbando di conseguenza
il conflitto con un virus che l’immunità del nostro organismo avrebbe avuto
qualche probabilità di domare o rendere meno aggressivo, se non fosse stata
messa a dura prova da un totalitarismo mercantile al quale nulla di disumano è
estraneo?
Londra 1832, uno originale costume per far fronte al colera |
Ci
hanno abbastanza abbacinato con il progresso della tecnologia: per arrivare a
che cosa? L’astronave per Marte e l’assenza terrestre di letti e apparecchi respiratori
negli ospedali. Certamente,
ci sarà più da meravigliarsi per le scoperte di una vita di cui ignoriamo
tutto, o quasi. Tranne gli oligarchi e i loro servitori che la diarrea
mercantile svuota della loro sostanza e che noi confineremo nelle loro latrine,
chi potrebbe dubitarne?
Farla
finita con la militarizzazione dei corpi, dei costumi, delle mentalità
La
repressione è l’ultima ragione d’essere dello Stato. Esso stesso la subisce
sotto la pressione delle multinazionali che impongono i loro diktat alla terra
e alla vita. La prevedibile messa in discussione dei governi, risponderà alla
questione: il confinamento sarebbe stato pertinente se le infrastrutture
mediche fossero rimaste efficienti, anziché subire lo sfacelo che sappiamo,
decretato dal dovere di redditività?
Nell’attesa
– è d’obbligo costatarlo – la militarizzazione e la ferocia dell’ordine
pubblico non fanno che dare il cambio alla repressione in corso nel mondo
intero.
L’Ordine democratico non potrebbe auspicare miglior pretesto per premunirsi contro la collera dei popoli. L’imprigionamento a domicilio non era forse lo scopo dei dirigenti, inquieti della lassitudine che minacciava le loro sezioni d’assalto di manganellatori, di accecatori, di assassini salariati? Bella ripetizione generale la tattica della nassa impiegata contro i manifestanti pacifici che reclamavano tra l’altro la riabilitazione degli ospedali.
L’Ordine democratico non potrebbe auspicare miglior pretesto per premunirsi contro la collera dei popoli. L’imprigionamento a domicilio non era forse lo scopo dei dirigenti, inquieti della lassitudine che minacciava le loro sezioni d’assalto di manganellatori, di accecatori, di assassini salariati? Bella ripetizione generale la tattica della nassa impiegata contro i manifestanti pacifici che reclamavano tra l’altro la riabilitazione degli ospedali.
Per
lo meno siamo prevenuti: i governi tenteranno di tutto per farci passare dal
confinamento alla cuccia. Tuttavia, chi accetterà di passare docilmente
dall’austerità carceraria al comfort del servilismo rabberciato?
È
probabile che la rabbia del recluso coglierà l’occasione per denunciare il
sistema tirannico e aberrante che tratta il coronavirus come quel terrorismo
multicolore da cui il mercato della paura ricava profitto.
La
riflessione non si ferma qui. Pensate a quegli studenti che nel paese dei
Diritti dell’Uomo sono stati costretti a inginocchiarsi di fronte ai
piedipiatti di Stato. Pensate alla stessa educazione in cui l’autoritarismo
professorale ostacola da secoli la curiosità spontanea del bambino e impedisce
alla generosità del sapere di propagarsi liberamente. Pensate a che punto
l’accanimento concorrenziale, la competizione, l’arrivismo del “togliti di là
che mi ci metto io” ci hanno confinato in una caserma.
La
servitù volontaria è una soldatesca che marcia al passo. Un passo a sinistra,
uno a destra? Che importa? Entrambi restano nell’ordine delle cose.
Chiunque
accetti che gli si abbai addosso, o sotto, non ha per presente che un avvenire
da schiavo.
Marinai messi in quarantena |
USCIRE
DAL MONDO MORBOSO E CHIUSO
DELLA
CIVILTÀ MERCANTILE
La
vita è un mondo che si apre ed è l’apertura sul mondo. Certo ha spesso subito
quel terribile fenomeno d’inversione in cui l’amore si cambia in odio, in cui
la passione di vivere si trasforma in istinto di morte. Per secoli è stata
ridotta in schiavitù, colonizzata dalla rozza necessità di lavorare e
sopravvivere come bestie.
Certo,
non si conoscono esempi di una clausura in cellule d’isolamento di milioni di
coppie, di famiglie, d’individui singoli che il fallimento dei servizi sanitari
ha convinto ad accettare la loro sorte, se non docilmente, almeno con una
rabbia contenuta.
Ognuno
si ritrova solo, confrontato a un’esistenza in cui è tentato di sbrogliare la
parte di lavoro servile da quella di desideri folli. La noia dei piaceri
consumabili è compatibile con l’esaltazione dei sogni che l’infanzia ha
lasciato crudelmente incompiuti?
La
dittatura del profitto ha deciso di toglierci tutto nello stesso momento in cui
la sua impotenza si diffonde mondialmente e la espone a un possibile
annientamento.
L’assurda
disumanità che ci ulcera da tanto tempo è esplosa come un ascesso nel
confinamento al quale ha condotto la politica di assassinio lucrativo praticata
cinicamente dalle mafie finanziarie.
La
morte è l’ultima indegnità che l’essere umano s’infligge. Non sotto l’effetto
di una maledizione, ma come conseguenza dello snaturamento che gli è stato
imposto.
Le
catene che abbiamo forgiato per paura e sensi di colpa, non saranno spezzate né
dalla paura né dai sensi di colpa, ma dalla vita riscoperta e restaurata. Non è
forse quanto dimostra, in questi tempi d’oppressione estrema, l’invincibile
potenza dell’aiuto reciproco e della solidarietà?
Un’educazione
ripetuta da millenni ci ha insegnato a reprimere le nostre emozioni, a spezzare
i nostri slanci di vita. Si è voluto a
qualunque prezzo che la bestia che sopravvive in noi facesse l’angelo.
Le
nostre scuole sono rifugi d’ipocriti, di frustrati, di torturatori raziocinanti.
Gli ultimi appassionati di sapere vi guazzano con il coraggio della
disperazione. Uscendo dalle nostre celle carcerarie, impareremo finalmente a
liberare la scienza dal peso della sua utilità lucrativa? Ci daremo da fare per
affinare le nostre emozioni, anziché reprimerle? Per riabilitare la nostra
animalità anziché domarla, così come domiamo i nostri fratelli detti inferiori?
Non
sto incitando alla sempiterna buona volontà etica e psicologica, punto il dito
sul mercato della paura, dove l’ordine pubblico fa intendere il rumore dei suoi
stivali. Attiro l’attenzione sulla manipolazione delle emozioni che abbrutisce
e istupidisce le folle, metto in guardia contro i sensi di colpa che rodono in
cerca di capri espiatori.
Dagli,
ai vecchi, ai disoccupati, agli irregolari, ai senza domicilio fisso, agli
stranieri, ai gilets jaunes, a quelli di fuori! Ecco il muggito di quegli
azionisti del nulla che fanno commercio del coronavirus per propagare la peste
emozionale. I mercenari della morte non fanno che ubbidire alle ingiunzioni
della logica dominante.
Quel
che deve essere sradicato è il sistema di disumanizzazione messo a punto e
applicato ferocemente da quelli che lo difendono per gusto del potere e del
denaro. È molto tempo che il capitalismo è stato giudicato e condannato. Siamo
sommersi dalla pletora di perorazioni a suo carico. Può bastare.
La
rappresentazione capitalista identificava la propria agonia con quella del
mondo intero. Lo spettro del coronavirus è stato, se non il risultato
premeditato, almeno l’illustrazione esatta del suo assurdo maleficio. La causa
è intesa. Lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, di cui il capitalismo è
una variazione, è un’esperienza finita male. Assicuriamoci che il suo
scherzo sinistro di apprendista stregone sia divorato da un passato da cui non sarebbe
mai dovuto venire fuori.
Non
c’è che l’esuberanza della vita ritrovata che possa spezzare in un colpo solo
le manette della barbarie mercantile e la corazza caratteriale che imprime
sulla carne viva di ciascuno il marchio dell’economicamente corretto.
LA DEMOCRAZIA AUTOGESTIONARIA
LA DEMOCRAZIA AUTOGESTIONARIA
ANNULLA
QUELLA PARLAMENTARE
Non
è questione di tollerare che, appollaiati su tutti i pulpiti delle loro
commissioni nazionali, europee, atlantiche e mondiali, i responsabili vengano a
mettere in scena il ruolo del colpevole e del non colpevole. La bolla
dell’economia, gonfiata di debiti virtuali e di denaro fittizio, implode e si
sgonfia sotto i nostri occhi. L’economia è paralizzata.
Prima
ancora che il coronavirus rivelasse l’ampiezza del disastro, le “alte istanze”
hanno grippato e fermato la macchina meglio degli scioperi e dei movimenti
sociali che sono rimasti decisamente inefficaci per quanto contestatari fossero.
Basta
con le farse elettorali e le diatribe di paccottiglia. Che gli eletti
ammanicati con la finanza, siano spazzati via come l’immondizia e
spariscano
dal nostro orizzonte com’è scomparsa in loro la parcella di vita che ne
faceva
delle figure umane.
Non
vogliamo giudicare e condannare il sistema oppressivo che ci ha condannato a
morte. Vogliamo annientarlo.
Come
non ricadere in questo mondo che crolla, in noi e davanti a noi, senza
edificare una società con l’umano che resta a portata delle nostre mani, con la
solidarietà individuale e collettiva? La coscienza di un’economia gestita dal
popolo e per il popolo, implica la liquidazione dei meccanismi dell’economia
mercantile.
Nella
sua ultima sbruffonata, lo Stato non si è accontentato di prendere i cittadini
in ostaggio e imprigionarli. La sua mancata assistenza a persone in pericolo le
uccide a migliaia.
Lo
Stato e i suoi agenti hanno demolito i servizi pubblici. Più niente funziona.
Lo sappiamo con certezza: la sola cosa che riesce a far funzionare, è
l’organizzazione criminale del profitto.
Hanno
condotto gli affari loro nel disprezzo del popolo, il risultato è deplorevole.
Tocca al popolo occuparsi dei suoi, finendo di rovinare i loro. A noi far
ripartire tutto su basi nuove.
Più
il valore di scambio predomina sul valore d’uso, più s’impone il regno della
merce. Più accorderemo la preminenza all’uso che noi desideriamo fare della
nostra vita e del nostro ambiente, più la merce perderà il mordente. La
gratuità le porterà la stoccata.
L’autogestione
segna la fine dello Stato di cui la pandemia ha messo in luce il fallimento e
la nocività. I protagonisti della democrazia parlamentare sono i becchini di
una società disumanizzata a causa della redditività.
Si
è visto, invece, il popolo, messo di fronte alle carenze dei governi, dare prova di
una solidarietà indefettibile e mettere in atto una vera e propria autodifesa sanitaria. Non è questa un’esperienza
che lascia augurare un’estensione delle pratiche autogestionarie?
Niente
è più importante che prepararci a farci carico dei settori pubblici, un
tempo a carico dallo Stato, prima che la dittatura del profitto li mandasse in
demolizione.
Lo
Stato e la rapacità dei suoi agenti hanno bloccato e paralizzato tutto, tranne
l’arricchimento dei ricchi. Ironia della storia, l’impoverimento è ormai la
base di una ricostruzione generale della società. Come potrebbe, chi ha
affrontato la morte, avere paura dello Stato e dei suoi sgherri?
La
nostra ricchezza è la nostra volontà di vivere.
Il
rifiuto di pagare tasse e imposte ha smesso di appartenere al repertorio
delle
incitazioni sovversive. Come sarebbero in grado di pagarle i milioni di
persone a cui stanno per mancare i mezzi di sussistenza quando il
denaro, a miliardi, continua a essere inghiottito nell’abisso delle
malversazioni finanziarie e del debito che queste scavano? Non
dimentichiamolo,
è dalla predominanza accordata al profitto che nascono le pandemie e
l’incapacità di trattarle. Resteremo, dunque, all’insegna della mucca
pazza,
senza trarne lezione? Ammetteremo, infine, che il Mercato e i suoi
gestori sono
il virus da sradicare?
Non
è più il momento dell’indignazione, dei lamenti, delle constatazioni dello
smarrimento intellettuale. Insisto sull’importanza delle decisioni che le
assemblee locali e federate prenderanno “tramite il popolo e per il popolo” in
materia d’alimentazione, di alloggio, di trasporto, di salute, d’insegnamento,
di cooperative monetarie, di miglioramento dell’ambiente umano, animale,
vegetale.
Andiamo
avanti pur se arrancando. Meglio sbagliare sperimentando piuttosto che
regredire e reiterare gli errori del passato. L’autogestione è in germe
nell’insurrezione della vita quotidiana. Ricordiamoci che quel che ha distrutto
e interrotto l’esperienza delle collettività libertarie della rivoluzione
spagnola, è stata l’impostura comunista.
Non
chiedo a nessuno di approvarmi e ancora meno di seguirmi. Vado per la mia
strada. Libertà per ognuna e ognuno di fare altrettanto. Il desiderio di vita è
senza limiti. La nostra vera patria è in ogni luogo dove la libertà di vivere
sia minacciata. La nostra terra è una patria senza frontiere.
Raoul Vaneigem, 10 aprile 2020
[1]
Riferimento
alle Songlines di Bruce Chatwin, NdT.
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