lunes, 30 de junio de 2008

America latina: Affollata conferenza all'Università di Roma

America Latina dal tramonto all'ALBA: riappare il continente desaparecido

di Daniele Ferro -
www.megachip.info

Il pomeriggio di martedì 24, l'aula Gini della Facoltà di Statistica dell'Università "La Sapienza", era stranamente piena. Non solo perché le lezioni si sono concluse e nella capitale il caldo è cocente, ma soprattutto non capita spesso che iniziative extra-didattiche attirino grande partecipazione, visto che non offrono crediti formativi.

Invece questa volta un centinaio di persone ha assistito all'incontro sull'America Latina organizzato dal CDR/Roma, dal Gruppo di studio e ricerca sull'America Latina de La Sapienza e dalla rivista Nuestra America: all'iniziativa hanno preso parte Luciano Vasapollo, direttore della suddetta rivista e professore di statistica a La Sapienza, Rafael Lacava, ambasciatore della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Gioconda Galàn Castelo, ambasciatrice della Repubblica dell'Ecuador e Gennaro Carotenuto, docente di Storia Contemporanea presso l'università di Macerata.

Bisogna dire che l'incontro non era improntato ai presunti canoni accademici dell'imparzialità e del distacco, e tale caratteristica è apparsa subito chiara con il primo intervento “pasionario” di Vasapollo, che più volte si è rivolto ai propri interlocutori chiamandoli “compagni”.

Il direttore ha esordito parlando delle esperienze progressiste latinoamericane come esempio dal quale dovrebbe attingere la sinistra italiana, ed ha tracciato la differenza che a suo parere intercorre fra l'integrazione del continente latinoamericano e quella europea: se la prima si fonda sulla difesa degli interessi delle popolazioni e del loro diritto all'autodeterminazione, l'Unione Europea tutelerebbe invece gli interessi economici delle multinazionali.

Vasapollo è poi entrato nel merito dell'incontro organizzato a La Sapienza, parlando di ALCA e di ALBA (l'ALCA è il progetto di Area di Libero Commercio delle Americhe lanciato ad inizio anni ‘90 da Bush padre e coinvolge tutti i Paesi delle Americhe ad eccezione di Cuba, mentre l'ALBA, l'Alternativa Bolivariana per le Americhe, è un progetto di cooperazione politica, sociale ed economica di cui fanno parte Venezuela, Bolivia, Cuba e Nicaragua).

Vasapollo ha affermato che l'ALCA rappresenta “la strategia economica per l'egemonia imperialista statunitense in America Latina”, invece l'ALBA è “un forte progetto di integrazione economica, politica e culturale che valorizza le economie locali mettendo al centro l'interesse dei popoli”; espressione di concretezza dell'ALBA è il Banco del Sur, grazie al quale “l'America Latina si toglie dalle logiche di strozzinaggio del Fondo Monetario Internazionale”, poiché il BancoSur concede prestiti quarantennali ad un basso tasso d'interesse (1-2%).

In seguito il microfono è passato alle parole pacate ma decise di Gioconda Galàn Castelo. L'ambasciatrice - rappresentante del governo di Rafael Correa, vincitore alle presidenziali dello scorso anno - ha delineato il processo di trasformazione dell'Ecuador, “un Paese che vuole cambiare, che vuole lasciarsi dietro il vecchio attraverso la grande partecipazione di cittadini, contadini, operai, studenti, lavoratori e delle istituzioni”.

Secondo Galàn Castelo, in Ecuador si sta attuando un “processo d'integrazione rivoluzionario”, poiché “propone un nuovo modello di Stato nelle sue varie forme politiche, economiche, giuridiche e di controllo, e per questo tale movimento non è riconducibile alle consuete logiche di destra, sinistra e centro”.

Il processo di cambiamento - definito dall'ambasciatrice una “concertazione cittadina” - si pone un obiettivo formale, vale a dire la ratifica della nuova Costituzione approvata dall'82% dei cittadini, ed altri obiettivi ben concreti volti a includere chi era stato finora escluso dalle politiche governative: “gli obiettivi sono quelli dell'istruzione, della casa, del lavoro e della salute per tutti”.

Un pilastro importante di tale politica sarà la redistribuzione dei proventi del petrolio, per la quale bisognerà togliere l'accaparramento delle risorse dalle mani di poche èlite economiche.

In questo discorso trapela il grande orgoglio dell'ambasciatrice, che con fermezza scandisce tutta una serie di “no queremos màs”: “il nostro cambiamento rivoluzionario è orientato alla pace e alla giustizia. Non vogliamo più la Banca Mondiale, non vogliamo più il neoliberismo, non vogliamo più le multinazionali”.

Il vento nuovo della visione politica ecuadoriana ha trovato presto espressione nel ventaglio internazionale.

Galàn Castelo rivela che l'Ecuador non rinnoverà il contratto agli Stati Uniti per il mantenimento della base militare di Manta, e poi spiega come al vertice della FAO l'Ecuador si sia opposto - insieme a Cuba, Venezuela, Nicaragua ed Argentina - alle attuali politiche economiche sui biocarburanti, che suo parere “nuociono alla sicurezza alimentare delle popolazioni”.

Critica infine la direttiva sull'immigrazione approvata di recente dall'Unione Europea, riguardo la quale “il presidente Correa ha affermato l'esigenza di non creare processi di causalità tra immigrazione e illegalità”.

Alla ferma pacatezza dell'ambasciatrice ecuadoriana si è poi avvicendato l'impeto di Rafael Lacava, vulcanico ambasciatore del Venezuela che ha subito cercato la simpatia del pubblico denigrando la propria giacca e cravatta: “col caldo e con questa specie di costume che indosso tutti i giorni potete immaginare come mi sento”.

Lacava nel discorso pone chiaramente l'esperienza del suo Paese come baluardo del processo di cambiamento politico e sociale in America Latina: “Il Venezuela sta giocando un ruolo fondamentale perché da lì s'è lanciato il primo segnale del laboratorio di idee nuove che han preso vita nel continente latinoamericano”.

Ma la Rivoluzione cubana rimane pur sempre l'esperienza principe: secondo l'ambasciatore “Fidel Castro è un esempio di dignità, lui, il suo popolo e la Rivoluzione. Grazie a Cuba nel nostro Paese sono arrivati i medici, ora ogni anno in Venezuela ci sono in media novecento studenti che concludono gli studi in medicina. E così pure per l'istruzione: ho visto gente imparare a leggere e scrivere a ottant'anni, e questo dimostra l'entusiasmo e la voglia di fare del nostro popolo”.

L'ambasciatore lascia intendere che l'avversario, ciò che ha generato la disuguaglianza e la povertà in America Latina, è il neoliberismo: ”In Venezuela abbiamo fatto capire che non vogliamo più inginocchiarci a nessuno, ed oggi ci sono i presupposti per realizzare i nostri obiettivi, perché i popoli non credono più alla visione imperialista, alla messa dei soldi al centro di tutto”.

Nelle parole di Lacava ribollono i contrasti con gli Stati Uniti: “Gli Usa hanno cercato di cambiare il processo rivoluzionario, ma non ce l'hanno fatta perché hanno trovato un muro morale nel nostro popolo”.

Come l'ambasciatrice ecuadoriana anche Lacava critica duramente la direttiva europea sull'immigrazione, e conclude con una frase che forse riassume il percorso politico che molti Paesi dell'America Latina vogliono intraprendere: “Il concetto della democrazia partecipativa è il socialismo del XXI secolo: i cittadini devono decidere il proprio destino insieme a chi li governa”.

L'incontro è concluso da Gennaro Carotenuto. Lo storico ricorda quello che considera “il momento più basso dell'America Latina“, quando nell'89 Carlos Andrés Pérez, presidente del Venezuela “per applicare le direttive del Fondo Monetario Internazionale ha abbattuto con la forza i manifestanti. Pérez in ventiquattr'ore ha causato sostanzialmente tanti morti quanti Pinochet in diciassette anni, ed era pure vicepresidente dell'Internazionale Socialista di Willy Brandt”.

Carotenuto in particolare parla della Bolivia, di cui traccia un'analisi politica precisa, sottolineando come in Venezuela e in Ecuador il processo di trasformazione passi attraverso l'approvazione di una nuova Costituzione che includa i cittadini.

Carotenuto trova un limite nel progetto di Costituzione boliviana, che dovrà essere confermata dai cittadini il 10 agosto insieme al mandato del presidente Morales: in Bolivia la Costituzione è stata opera della sola maggioranza, perché l'opposizione ha boicottato il processo di revisione costituzionale. Questa è una mancanza a cui bisognerà porre rimedio cercando di coinvolgere l'intero Paese.

Il sistema politico boliviano risente molto della divisione etnica e sociale tra bianchi e indigeni, ricchi e poveri. Questa contrapposizione, spiega Carotenuto, si esprime in movimenti minoritari ma reazionari, spesso violenti e xenofobi, appoggiati dalla destra parlamentare.

Il 10 agosto sarà quindi una tappa fondamentale per la Bolivia: se Morales vincerà il referendum, il cambiamento costituzionale e l'idea di una politica diversa saranno pienamente legittimati.

Dall'incontro a La Sapienza esce un quadro ben chiaro dell'aria che tira in molti Paesi dell'America Latina: nel continente si è delineato, col susseguirsi degli anni, un progetto di democrazia basato sull' inclusione sociale e sulla condivisione della ricchezza, ed i vari Paesi, nelle loro diversità politiche e culturali, perseguono lo stesso obiettivo politico.

Non possiamo sapere se tale obiettivo sarà effettivamente raggiunto, ma l'America Latina sembra cercarlo con progettualità, entusiasmo e fiducia.

Quello che manca da noi, all'Europa e soprattutto all'Italia.

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