martes, 30 de septiembre de 2008

Wall Street al tappeto

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Il valore delle compagnie quotate nella Borsa di New York ha perso in una sola giornata 1200 miliardi di $, ossia quasi il doppio dei 700 miliardi del "riscatto" disegnato da Bush, e respinto dal Congresso.


Tito Pulsinelli


Wall Street ha infilato una china inarrestabile: dopo svariati "lunedì neri" siamo ormai passati al settembre più "nero" del 2008, e questo sarà l'anno più nero del secolo. Quello che segnerà la fine dell'egemonismo degli Stati Uniti e del capitalismo finanziario, ovvero del gioco d'azzardo globalizzato nelle Borse.
Nonostante le ingenti trasfusioni operate nel corso di quest'anno dalla Banca centrale europea e dal Giappone, il sistema della gang finanziaria anglosassone non dà segni di vita, boccheggia. E' ormai assuefatto alle numerose "iniezioni" con elevato contenuto di ricchezza reale, prelevato dagli erari pubblici del resto del mondo. Dopo il ko del dollaro, ora sono inservibili anche le fiches di Wall Street e di Londra.

Il galoppante trionfalismo li aveva spinti a coniare motu proprio una quantità di valori cartacei insostenibile, equivalente a venti volte la produzione mondiale. L'arroganza totalitaria aveva istaurato una utopia feudale: per far soldi non è necessaro sporcarsi le mani e passare attraverso la merce. Secondo costoro, la vecchia formula "denaro-merce-denaro" era un feticcio obsoleto inventato da un ebreo pazzo e comunista. E' finito il sogno di poter arricchirsi e dominare il genere umano maneggiando la pietra filosofale del "denaro che crea denaro"

Bisogna tornare con i piedi per terra, cioè ad una economia che si poggia sulla materialità della merci e i servizi necessari al vivere degli umani. Questa era diventata un "derivato", cioè meno di una variabile succube della fabbrica di valori cartecei.
"I sogni della cartiera" sono finiti.Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno reagito con una tardiva statizzazione del sistema bancario, cioè disponendo liberamente dei beni pubblici per andare in soccorso dell'iniziativa ultra-privata ed ultra-minoritaria dei banchieri.

A loro non importa contraddirsi o gettare nella spazzatura il credo ideologico liberista: i tempi sono gravissimi, fanno quadrato, ed espropriano le riserve monetarie dei loro Paesi. Mors tua vita meam.
Adesso Bush tenta l'ultimo colpaccio: espropriare 700 miliardi di dollari dall'erario per una terapia d'urgenza ai suoi accoliti ed affini. Non ai 400mila che hanno perso la casa o per i disoccupati. Bush assalta direttamente i depositi dove sono custoditi i beni per la salute, istruzione, pensione e la sicurezza di 300 milioni di persone.
D'un sol colpo, intima di consegnare il mega-malloppo al suo uomo della Riserva Federale. Poi si laverà le mani ed uscirà di scena come il più grande nazionalizzatore di tutti i tempi.

Finalmente dal Congresso si oppongono e dicono di no. Era ora. Comincia a venire a galla la prima linea di resistenza dentro l'elites nordamericana. Dalla tribuna dell'ONU, i capi di Stato del resto del mondo avevano criticato apertamente, accusato, preso le distanza o profferito invettive contro il capitalismo modello-USA.

Tra gli europei, solo la Francia ha detto in modo chiaro che ci vogliono regole, etica, controllo e che la banca non può pretendere nessun welfare, men che mai senza condizioni. Tutti gli altri, invece, sembrano come quegli italici che si accorsero della caduta dell'impero romano solo di fronte ai saccheggi e gli incendi della...decima invasione barbarica.

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