sábado, 3 de enero de 2009

Cuba 50

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Tito Pulsinelli

Cuba e' da mezzo secolo unita, indipendente, sovrana e piu' equitativa. Non e' una colonia spagnola o degli Stati Uniti, ne' un protettorato russo. Ha vinto una battaglia storica: costituirsi come nazione indipendente. Ha potuto consolidarsi resistendo epicamente come un Davide tra le zanne e le fauci dell'impero dirimpettaio.

Gli Stati Uniti avevano rimpiazzato la Spagna costretta a ritirarsi da Cuba. Era la prima tappa della sua espansione imperiale che -assieme alle Filippine- costituiva il biglietto da visita di una vocazione depredatoria. Agli albori del 1900.
In mezzo secolo, si sono susseguiti nove presidenti, tutti impotenti a sbarazzarsi della nuova istituzionalita', tutti incapaci di retrodatare il tempo storico e riportare Cuba alla dimensione coloniale. O quella semicoloniale di "Stato libero associato". L'onnivora volonta' di potenza e il "destino manifesto" si sono sfarinati di fronte al nuovo Stato cubano, al suo regime sociale e alla sua magnetica presenza nei cinque continenti.

Gli Stati Uniti sono scesi a patto con l'Unione sovietica, hanno firmato molti trattati con la Repubblica Popolare cinese, si sono seduti alle stesso tavolo perfino con rappresentanti della Corea del nord. Non hanno potuto farlo con i cubani. Non hanno mai potuto abbandonare i diktat, i colpi bassi e insidiosi: contraccolpi di un ego fino ad allora smisurato.

E' stata una psicosi o una inspiegabile malattia dello spirito? Sicuramente l'arroganza del gigante che -lontano da ogni razionalita' politica- non concepisce altro destino per le nazioni dei Caraibi. Solo le vie di fatto, i golpe, le invasioni o le rivoluzioni colorate.
C'era gran voglia di un castigo terribile ed esemplare, un monito sinistro per estirpare l'esempio di un cammino dignitoso che indicava l'alternativa. Hanno perso. Cuba è stato l'esempio vivente cha ha mostrato i limiti della volonta' di potenza di Washington.

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Nell'Europa che non sa vedere oltre il proprio ombelico, risulta impossibile capire che nell' America indo-afro-latina, il nazionalismo non e' espansionista nè militarista o colonialista. Non ha molto a che spartire con quello europeo: e' antimperailista.
E questo spiega perche' le simpatie per la rivoluzione cubana non si sono mai limitate ai movimenti popolari o alle correnti socialiste. Ne' ieri, e men che mai oggi, quando Cuba siede con pieno diritto negli organismi dell'integrazione latinoamericana. Checche' ne dica la anglosfera o le due correnti neoliberiste che si alternano nei governi della zona euro.

Cuba ha potuto difendere il suo Stato indipendente e sovrano, sulla base di una economia pianificata e centralizzata. Gli Stati Uniti non hanno lasciato aperta nessun'altra possibilita', fino a costringerla all'abbraccio con l'Unione Sovietica. E quando questa e' implosa, Cuba ha sconcertato tutti, ha resistito.
In primo luogo perche' non e' mai stata un gulag, ma un sistema sociale che capta un alto consenso, ed ha molti amici nel mondo. Oggi Cuba ha un'economia mista -a prevalenza statale- e una doppia circolazione monetaria, con forte presenza di imprese straniere nell'importante settore del turismo.

Non ha mai avuto tante e diversificate relazioni con il resto del mondo in tutta la sua storia.La monocoltivazione dello zucchero e' alle spalle, oggi esporta farmaci, medici ed insegnanti, e conta su giacimenti petroliferi vicini alla sua costa.

Il futuro di Cuba dovranno deciderlo i cubani che vivono nell'isola, e questo sara' pienamente iscritto nel contesto dell'integrazione continentale. La stucchevole critica "occidentale" riguardante il format elettorale, e' una coazione a ripetere sempre piu' falsa. Occulta che nell'isola si rispettano diritti sociali fondamentali: salute, istruzione, sicurezza sociale e sviluppo umano per tutti.
Nell'epoca della morte dei partiti politici, sono ormai solo i mezzi di comunicazione e il potere economico a togliere o mettere presidenti. Vince chi raccoglie piu' fondi o chi dispone di maggiore potere mediatico.
In ogni caso, il format politico di Cuba dovranno deciderlo all'Avana, non a Washington o Bruxelles.

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