Stone torna sul luogo del delitto, che lui chiama il "cortile ignorato" del Nord America, ovvero l' America Centrale e del Sud. Stone s' era addentrato in quel "cortile" quando girò "Salvador" (1986), che puntava il dito sul coinvolgimento della Cia nella dittatura militare. Nel 2003 Stone si recò a Cuba per incontrare Fidel Castro e ne uscì il documentario "Comandante " , cui seguì "Looking for Fidel" (2004), in cui il regista di "Platoon" e "Wall Street" rivedeva alcune sue posizioni un po' troppo indulgenti nei confronti di Castro.
Grande polemista e rompiscatole numero uno di Hollywood, l' autore americano (di madre francese), 62 anni, solleverà di nuovo accese controversie col suo nuovo documentario, "South of the border", sul presidente venezuelano Hugo Chavez, eroe "bolivariano" per alcuni, demagogo con tendenze dittatoriali per altri. "South of the border" debutterà in concorso alla Mostra di Venezia il 7 settembre.
Oliver Stone sarà presente, ma dovrà tornare subito a New York per iniziare le riprese di "Wall Street 2", con Michael Douglas che riprende il ruolo dello squalo della finanza Gordon Gekko, con cui vinse l' Oscar nel 1988 come miglior attore.
A New York abbiamo raggiunto Oliver Stone telefonicamente per parlare di "South of the border", montato a Topanga Canyon, Los Angeles dall' italiana Elisa Bonora, che aveva già lavorato sui precedenti documentari di Stone.
Girato in economia, il film attende l' esito di Venezia per ottenere una distribuzione in sala. In Italia ha già un distributore, la Mikado, che si occuperà anche di "Capitalism" di Michael Moore.
«Il Nord America tratta il Sud come in Italia i settentrionali trattano i meridionali, non è vero?» esordisce Stone «Eppure spero che in Italia questo mio dannato lavoro venga apprezzato e magari faccia venir voglia di vederlo anche agli americani».
Cosa vede in Hugo Chavez?
«Ci pensai nel dicembre 2007, quando mi recai in Venezuela al tempo della liberazione della Betancourt grazie, si dice, all' intervento di Chavez. Anche in quell' occasione Chavez si scontrò con Bush, contrario a ogni compromesso coi sequestratori. Sono tornato in Venezuela lo scorso gennaio e ho fatto una lunga intervista a Chavez. E' molto amato dal popolo e non è privo di fascino. E' un seguace di Simon Bolivar, sogna un' America Latina unita e liberata, sogna di liberare tutto il mondo. E' stato in prigione varie volte, è sopravvissuto a un golpe (nel 2004), e sono sicuro che non si è mai riempito le tasche con la politica. Insomma, dopo averlo conosciuto mi riesce difficile etichettarlo come il "nemico pubblico numero 1". C' è ben di peggio di cui gli Usa dovrebbero preoccuparsi».
Come ha strutturato il documentario?
«Ho cercato di essere un po' più leggero rispetto a "Comandante", c' è dentro della musica, del folklore. E' lungo solo 74 minuti. Non vuole essere una cronaca dell' ascesa al potere di Chavez. Piuttosto una sorta di tour guidato in una regione che i nordamericani conoscono poco ma di cui parlano tanto, e a vanvera».
Come ne esce Chavez?
«La prima cosa che si capisce è che non bisogna dar ascolto a tutto quello che su di lui ci propinano i media e le tv. Ho intervistato sette presidenti sudamericani, tra cui il boliviano Evo Morales, e dicono quello che pensano di lui. Dicono tutti la stessa cosa: come Chavez, anche loro ambiscono a esercitare pieno controllo sulle risorse nazionali, vogliono rafforzare i loro legami regionali, essere trattati alla pari dagli Usa e soprattutto vogliono diventare finanziariamente indipendenti dal Fondo monetario internazionale. Ma non discuto punto per punto su quello che ha fatto Chavez».
Come spiega le misure antidemocratiche di Chavez, i suoi attacchi all' opposizionee alla libertà di stampa?
«E' quello che leggiamo sui giornali americani e non è necessariamente la verità. Chavez ha favorito i media più di qualsiasi altro leader in Venezuela, dove i media erano privati, con l' eccezione di un paio di canali tv governativi. Molti in Venezuela gli hanno dato contro per aver nazionalizzato l' industria del petrolio, e i media invocavano un colpo di stato contro di lui.
Chavez li ha lasciati fare, e due mesi dopo hanno proclamato uno sciopero petrolifero contro di lui. E' sopravvissuto allo sciopero, anche se è stato devastante, e hanno continuato ad attaccarlo. Vede, negli Usa, come da voi in Italia, non permetterebbero ai media di invocare un colpo di stato, nessun paese al mondo lo permetterebbe, nessuna democrazia. Nel film cerchiamo di stabilire la verità di quello che succede, cosa c' è di positivo nel governo Chavez. Cosa di cui i media americani non vogliono sapere nulla».
In America Latina sono dunque tutti a suo favore?
«Tutti i leader da me intervistati sono a suo favore. Pensi a quello che Reagan ha fatto in Nicaragua e in Salvador, o alla Colombia, dove la gente che chiede riforme viene ammazzata ogni giorno. Chavez non fa queste cose. In Venezuela non è stata uccisa una sola persona di destra».
Ha visto coi suoi occhi la prosperità portata da Chavez in Venezuela?
«Non posso dire questo, ma ho analizzato i dati della crescita economica che non lasciano dubbi sulla salute dell' economia venezuelana. Ovviamente agli americani non piace sentire queste cose perché vogliono continuare a prestare soldi e stritolare i mercati esteri coi tassi d' interesse».
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