Martin E. Iglesias - Selvas.org
Come i castighi biblici con cui Dio colpisce l’uomo malvagio e indiscriminatamente tutto il suo popolo, la piaghe di Haiti continuano ad abbattersi sulla sua popolazione. I flagelli di una Madre Natura cieca e malvagia che si prodiga nel rivelare la sua presenza con un castigo continuo, e non ebbro di vite umane, pare non avere fine. Non è certo un’immagine esagerata o enfatizzata nella sua drammaticità, ma semplicemente la constatazione di come certe zone del pianeta siano terribilmente, costantemente, insistentemente perseguitate dalla forza distruttrice della natura, senza voler credere nel fato.
Come una maledizione, gli haitiani hanno già sopportato “le piaghe di invasioni di rane, pidocchi e mosconi” che hanno attentato la vita di ogni singolo abitante. Dal giorno dell’indipendenza nel 1804, la chiamata “Perla delle Antille”, è diventata la prima repubblica nera della Storia e la più contrastata Nuova Nazione tra le nascenti repubbliche delle Americhe. “Schiavi ribelli” o semplicemente disprezzati per essere degli africani liberati, gli haitiani hanno pagato e ancora pagano delle conseguenze derivate dalla vittoria su Napoleone e dal tentativo di rendersi realmente indipendenti. L’autonomia della nazione ha dovuto subire, e in alcuni casi favorito, l’isolamento internazionale e il tentativo di controllo dall’esterno, come ad esempio l’assedio di 15 anni dei Marines statunitensi (1915-30) e i successivi colpi di stato per garantire gli interessi stranieri. Duvalier padre e poi figlio (1957-86) hanno contribuito a replicare la piaga che tinse tutti i fiumi di sangue.
La poca lungimiranza delle politiche nazionali di conservazione del suolo e il sistematico approvvigionamento di legna come fonte energetica ha ridotto a colline di fango la parte di quest’isola che per secoli fu ricoperta di foreste. Proprio come un’invasione di cavallette la carestia è il “piatto tipico” dell’alimentazione haitiana, favorita anche dalle speculazioni internazionali a discapito delle poche risorse rimaste agli haitiani: di questa piaga ha reso pubblicamente il mea culpa l’ex presidente Bill Clinton, attuale responsabile del comitato ONU di ricostruzione in coppia con Gorge Bush, che ammette di aver favorito i coltivatori di riso dell’Arkansas a discapito delle risaie locali.
La frase biblica “Stendi la tua mano verso il cielo (… ) e cada grandine su tutto il paese (…) e vi siano tenebre nel paese, così fitte da potersi toccare”, ad Haiti è tradotta in un'unica parola: terremoto. Il 12 gennaio 2010 si scatena l’inferno, in soli 35 secondi è cambiata la vita di 3 milioni e mezzo di persone.
Secondo le stime ufficiali sotto le macerie rimangono oltre duecentomila persone, e almeno trecentomila sono rimaste ferite. Due milioni di residenti della capitale hanno lasciato la loro casa o sono scappati dalla città. Attualmente sono ancora oltre un milione e mezzo i sopravvissuti che dormono in tende o rifugi di fortuna. Un’intera generazione segnata dalla piaga più devastante.
Quando la malvagia perseveranza di Madre Natura fallisce, ecco che forse l’uomo offre il suo stupido aiuto.
Per ora sono meno di 400 le persone morte di colera ma le previsioni potrebbero essere catastrofiche e somigliare alla “piaga delle ulcere”, molto di più delle attuali scolpite sulla pelle soprattutto dei bambini, come le micosi e la scabbia. La diffusione dell’epidemia parte dalle rive fangose del fiume Artibonite e per le scarse condizioni igieniche e l’uso di acqua non controllata, figlia del terremoto, in pochi giorni si espande in tutta la regione dell’Antibonite densamente abitata, e un cordone di sicurezza sanitaria stenta a realizzarsi: il contagio dell’epidemia nella capitale Port-au-Prince, a pochi chilometri a sud e nelle condizioni attuali di totale precarietà potrebbe rivelarsi fatale. Ma come una malattia che gli haitiani non ricordano da cent’anni e l’Organizzazione Mondiale della Sanità definiva debellata nella nazione da 50 anni è potuta fare capolino tra i diseredati? Il colera è una pandemia in gran parte del mondo, ma è quasi sconosciuto nell'emisfero occidentale. Il ceppo trovato dai ricercatori è il "Vibrio cholerae O1 Ogawa biotipo El Tor", il più diffuso in oriente.
Per ora sono meno di 400 le persone morte di colera ma le previsioni potrebbero essere catastrofiche e somigliare alla “piaga delle ulcere”, molto di più delle attuali scolpite sulla pelle soprattutto dei bambini, come le micosi e la scabbia. La diffusione dell’epidemia parte dalle rive fangose del fiume Artibonite e per le scarse condizioni igieniche e l’uso di acqua non controllata, figlia del terremoto, in pochi giorni si espande in tutta la regione dell’Antibonite densamente abitata, e un cordone di sicurezza sanitaria stenta a realizzarsi: il contagio dell’epidemia nella capitale Port-au-Prince, a pochi chilometri a sud e nelle condizioni attuali di totale precarietà potrebbe rivelarsi fatale. Ma come una malattia che gli haitiani non ricordano da cent’anni e l’Organizzazione Mondiale della Sanità definiva debellata nella nazione da 50 anni è potuta fare capolino tra i diseredati? Il colera è una pandemia in gran parte del mondo, ma è quasi sconosciuto nell'emisfero occidentale. Il ceppo trovato dai ricercatori è il "Vibrio cholerae O1 Ogawa biotipo El Tor", il più diffuso in oriente.
Alla sorgente del fiume Meille, un affluente del fiume Artibonite sull'altopiano centrale di Haiti è accampata la base Nepalese delle forze ONU. Il colera è una malattia endemica in Nepal, di cui ha sofferto numerosi focolai anche questa estate. L'Onu ha spiegato che l'unità nepalese utilizza per le acque reflue sette serbatoi settici e sigillati, svuotati ogni settimana da una società privata in una discarica di sicurezza a 250 metri dal fiume. Inoltre la missione Onu nega con forza che la sua base possa essere causa d’infezione: i campioni raccolti sono risultati negativi per il colera e il comandante della forza militare della missione ha ordinato test supplementari per confermarli. Inoltre nessun membro del battaglione nepalese, arrivato i primi di ottobre per una rotazione di sei mesi, risulta ammalato. Ci sono delle indagini in corso e sono state aperte alcune inchieste anche dalle autorità internazionali. La storia, purtroppo, ha insegnato, più che abbondantemente, di quanto siano efficaci in queste latitudini le malattie. All’arrivo delle prime caravelle sull’isola di Hispaniola c’erano - e la stima è in difetto - 500mila abitanti nativi; dopo soli 27 anni e l’ennesima epidemia di vaiolo ne rimasero solo 3000.
Ma se è considerata una fatalità la frase “piove sul bagnato”, più inquietante è la decima delle piaghe bibliche: “A mezzanotte, il SIGNORE colpì tutti i primogeniti nel paese (…) e vi fu un grande lamento, perché non c'era casa dove non vi fosse un morto.”
La morte dei bambini, a monte di una probabile catastrofe, è la più sentita delle catastrofi. Ma l’“Angelo sterminatore” in arrivo, purtroppo non colpirà selettivamente i più piccoli, ma tutti gli indifesi, e il suo nome ad oggi pare sia “Tomas”, l’uragano tropicale che da una settimana sta crescendo di potenza nelle acque calde a sud della Giamaica. Classificato come tempesta tropicale, Tomas ha tutta l’intenzione di auto promuoversi ad uragano di prima categoria durante il prossimo fine settimana e già promette di mostrare i suoi venti a oltre 150 chilometri orari su Haiti. La missione Onu e le autorità locali vorrebbero poter assicurare che stanno facendo il possibile per correre ai ripari e proteggere così gli oltre un milione di baraccati in tende da campeggio, quando sono fortunati. Piani di evacuazione che coinvolgono oltre un milione di persone, attivazione di tutti i mezzi, già ritenuti scarsi ad assistere da dieci mesi i terremotati e addirittura nuovi sbarchi previsti di mezzi anfibi dell’Esercito statunitense, sono le misure previste sin’ora. Le traiettorie stimate dal Centro Nazionale Meteorologico del NOAA degli Stati Uniti non lasciano dubbi, Tomas ha proprio intenzione di attraversare da sud a nord il Golfo di Gonade la grande baia che concentra la maggiore quantità di popolazione, sopravvissuta al terremoto, di Haiti.
La morte dei bambini, a monte di una probabile catastrofe, è la più sentita delle catastrofi. Ma l’“Angelo sterminatore” in arrivo, purtroppo non colpirà selettivamente i più piccoli, ma tutti gli indifesi, e il suo nome ad oggi pare sia “Tomas”, l’uragano tropicale che da una settimana sta crescendo di potenza nelle acque calde a sud della Giamaica. Classificato come tempesta tropicale, Tomas ha tutta l’intenzione di auto promuoversi ad uragano di prima categoria durante il prossimo fine settimana e già promette di mostrare i suoi venti a oltre 150 chilometri orari su Haiti. La missione Onu e le autorità locali vorrebbero poter assicurare che stanno facendo il possibile per correre ai ripari e proteggere così gli oltre un milione di baraccati in tende da campeggio, quando sono fortunati. Piani di evacuazione che coinvolgono oltre un milione di persone, attivazione di tutti i mezzi, già ritenuti scarsi ad assistere da dieci mesi i terremotati e addirittura nuovi sbarchi previsti di mezzi anfibi dell’Esercito statunitense, sono le misure previste sin’ora. Le traiettorie stimate dal Centro Nazionale Meteorologico del NOAA degli Stati Uniti non lasciano dubbi, Tomas ha proprio intenzione di attraversare da sud a nord il Golfo di Gonade la grande baia che concentra la maggiore quantità di popolazione, sopravvissuta al terremoto, di Haiti.
La capacità di resistere all’impatto di una tempesta di acqua e vento di questa portata è quasi nulla, per la quasi totalità della popolazione dell’area dovuto anche alla precarietà del terreno e la possibile formazione di inondazioni di fango e allagamenti vastissimi, come già verificatosi alla fine agosto 2008. A meno di un repentino calo di forza del uragano, le previsioni attualmente sono le peggiori, e materializzano così i più scuri scenari ipotizzati per gli haitiani, post-terremoto.
Condannati alla fatalità, gli haitiani non meritano anche questo flagello, non proprio dalla Madre Natura, che per atavica cultura rispettano e temono nel loro intimo più di quanto noi, abituati a torturarla potremmo intendere. Condannati anche noi, assistiamo alla fatalità e alla lettura delle previsioni del tempo come uno spettatore guarda imbambolato la fine del mondo attraverso lo schermo tivvù. E quasi si prova vergogna a scrivere di questi allarmi, previsti, inevitabili, seduti alla scrivania di una casa sicura. Vorrei allontanare da me questa brutta immagine e questo brutto pensiero. Non mi resta che sfidare la sacralità malvagia della Madre Natura, bestemmiando contro di Lei, e ironizzare deridendo “l’Angelo della morte” a forma di uragano dal nome innocuo e bonaccione di Tomas. Che tanto con un nome così non fa paura a nessuno.
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