jueves, 17 de febrero de 2011

La Tunisia ad un mese dalla rivoluzione

Strade ancora presidiate dai militari    Continuano le manifestazioni   Scioperi quotidiani in molti settori   Totale assenza della Farnesina

Comunicato del Circolo “Maurizio Valenzi” di Tunisi 
La Tunisia ha appena celebrato il suo primo mese rivoluzionario: il 14 Gennaio 2011 l’ex Presidente Ben Ali fuggiva dal paese in rivolta e, per la prima volta dopo più di cinquant'anni di dittatura, ci si apprestava a vivere una nuova era di libertà.
A un mese dalla Rivoluzione del 14 Gennaio, emerge il problema dell'esodo massiccio di migranti che, approfittando del cambiamento della situazione e dei minori controlli, si imbarcano alla volta delle coste europee.
Di fronte a un evento epocale come questo e ancor più intimorito dagli effetti della rivolta egiziana, il nostro Governo non trova meglio da fare che diffondere la psicosi dell'"emergenza umanitaria", lamentando la posizione della UE. Dunque, dopo la TOTALE ASSENZA della nostra diplomazia sia prima che successivamente, attorno ad una delle più importanti fasi nella storia del Nord Africa e di tutto il mondo arabo, si decide di affrontare il problema solo e soltanto nel momento in cui l’Italia viene direttamente coinvolta. Cosa ancor più grave, le conseguenze di questa fase di cambiamento offrono il pretesto a una propaganda spicciola ad uso e consumo dell’elettorato più retrivo, cui non interessa conoscere la complessità del mondo.
Un esempio lampante ci é stato offerto dall’intervista di Maroni del 13 Febbraio a « Che tempo che fa » su RaiTre. Il nostro Ministro degli Interni – mostrando una pericolosa mancanza di competenza in politica internazionale – non ha trovato di meglio che dichiarare che il flusso di immigrati dalle coste tunisine è frutto di un paese nel "totale caos e alla deriva", o peggio ancora "senza governo, in preda all'anarchia, alle violenze, ai saccheggi, terremotato e privo di referenze istituzionali ».

Si tratta di un vero e proprio attacco al cuore del popolo tunisino, alla sua dignità, allo sforzo immane che sta compiendo, primo fra tutti i popoli arabi, nel liberarsi da uno stigma che li vuole tutti schiavi delle autocrazie o, peggio, strutturalmente inadatti alle democrazie.
Il Ministro, invece di fornire agli spettatori una chiave di lettura della situazione del paese a noi più vicino nel sud del Mediterraneo, si è lanciato in considerazioni allarmistiche e, quel che è peggio, ha omesso di parlare dei silenzi dell’Italia davanti al deteriorarsi della situazione.
 
La verità è che a Tunisi la situazione è sempre molto fluida. Tutti cercano di riprendere rapidamente la vita normale. Uffici pubblici e negozi han ripreso gli orari normali di lavoro. Continuano ad esserci manifestazioni, ogni giorno scioperano tanti settori della società: i tunisini non hanno mai avuto a disposizione tanta libertà, giustamente. Noi che lavoriamo, ogni mattina, in centro città e quindi nel cuore della protesta, facciamo lo slalom tra manifestanti e disservizi.

La gente protesta contro elementi del vecchio regime che sono rimasti ai loro posti (funzionari, impiegati, gente che era collusa col potere). Pian piano stanno rimuovendo e sostituendo tutte le figure chiave della vecchia Tunisia.
Il partito di Ben Ali, seppur sospeso in questi giorni, contava 2 milioni di iscritti su 10 milioni di abitanti: non sarà facile riorganizzare le strutture della società pubblica.
I tunisini riprendono possesso delle loro città e della loro libertà : il coprifuoco è stato appena revocato e la normale vita quotidiana ha ripreso il suo corso, nella consapevolezza delle nuove sfide ed opportunità, ma anche dei pericoli e delle difficoltà di una situazione inedita, mai vissuta negli oltre cinquanta anni d’indipendenza del paese.

Le strade sono ancora presidiate dai militari. Il problema maggiore è proprio la sicurezza in questo momento: dopo anni di assoluto controllo del territorio, oggi bisogna arginare la micro delinquenza (comune a tutto il mondo) e soprattutto la paura, la percezione dell'insicurezza. Circolano molte voci false e alcune verità su casi di rapine e aggressioni impongono il paragone con la Tunisia della dittatura, tutta sorrisi, vacanze e profumo di gelsomini.
Però c'è un'aria nuova, i giovani sono euforici, si aprono nuove prospettive alla partecipazione femminile nella vita pubblica, nascono nuovi partiti e movimenti, si creano associazioni, si parla liberamente di politica e democrazia: tra i dovuti dubbi e le incertezze, si sta costruendo la Tunisia di domani, che molti vogliono democratica e laica.

Il cammino non sarà semplice, innanzi tutto ci si confronta per la prima volta col significato della parola democrazia e dei suoi contenuti. Bisogna pertanto dar modo al Governo tunisino di transizione di governare, aiutandolo a trovare legittimità tanto sul piano nazionale che su quello internazionale. E infatti la UE, a dispetto di ciò che dice Maroni, così come altri paesi europei (Germania, Francia e Gran Bretagna), ha già offerto il suo sostegno alla nuova Tunisia.


L’Italia invece si distingue per le improvvide dichiarazioni del suo Ministro dell’Interno che arriva a proporre l’utilizzo di agenti della polizia italiana per pattugliare il litorale tunisino. Soluzione fermamente e giustamente respinta al mittente. Il Ministro Maroni ha forse dimenticato che qui operano circa 800 società italiane, di cui un numero rilevante è proprietà di connazionali originari proprio di quelle regioni da cui proviene la maggior parte dell’elettorato leghista? 

Come hanno potuto reagire coloro che già all’indomani della “Rivoluzione della dignità” si sono subito rimessi al lavoro malgrado le difficoltà e le incertezze? Che mancanza di rispetto nei loro confronti dire che c’è solo caos, assenza di governo, rapine e saccheggi, quasi ad incitarli a chiudere e ad andarsene. Questo si chiama “aiuto alla normalizzazione” o appello al panico?
Finalmente, il nostro Ministro degli Esteri, al culmine della crisi degli sbarchi a Lampedusa, decide di fare sosta a Tunisi, di passaggio da altre capitali arabe. 
Ci piacerebbe capire se le esitazioni del Governo italiano e le dichiarazioni ambigue del Sottosegretario Stefania Craxi, alla vigilia e dopo la caduta del regime di Ben Ali, siano state oggetto di chiarimenti col Governo tunisino.

Dobbiamo purtroppo sottolineare l’assenza di una chiara e coerente politica estera italiana verso i paesi del Mediterraneo, laddove si richiede al nostro paese di intraprendere una linea di ferma denuncia dei regimi autoritari, del richiamo a linee di condotta dei governi dell’area improntate al rispetto dei diritti umani e della libertà di espressione, senza offrire, più o meno apertamente, malcelati appoggi a sistemi equivoci.

Al Governo italiano si chiede anche una maggiore presenza nell’area, una maggiore attenzione alle politiche di sviluppo e cooperazione, sottolineando il ruolo di primo piano che il nostro paese, sia per le relazioni storiche che di vicinanza geografica, deve recitare; anche a sostegno delle comunità italiane presenti nei paesi della riva sud, che vi svolgono attività imprenditoriali o di altro tipo.
Il sud del Mediterraneo non può interessare l’Italia solo in quanto frontiera, barriera all’immigrazione clandestina. Tale visione tradisce lo spirito dei Trattati sulla Politica di Vicinato e la cooperazione euro mediterranea dell’Unione Europea. Essa implica un coinvolgimento completo da parte dei paesi a noi vicini nello sviluppo di politiche economiche e sociali di partenariato e di pace.

D’altronde, chi ha mai evocato le forze democratiche, laiche, le associazioni di difesa dei diritti umani, che incessantemente contribuiscono a costruire e diffondere una nuova idea di società civile e di partecipazione in questi paesi della sponda sud, soprattutto oggi, all’indomani degli importanti sconvolgimenti cui stiamo assistendo? Questi soggetti sono spesso stati ignorati a discapito dell’urgenza del problema “Islamismo”, addirittura ritenuti marginali. Al contrario, la storia recente ha finalmente reso onore alle loro battaglie.

Anche di questo aspetto occorrerebbe parlare, anche a loro occorrerebbe che la nostra diplomazia rivolgesse la giusta considerazione. Ci si aspetterebbe che l’Italia, per tramite del suo Governo, tenesse un atteggiamento più rispettoso e dignitoso nei confronti della Tunisia, dei suoi cittadini, del loro coraggio.

I rappresentanti istituzionali di quel paese "allo sbando", come è stato definito, riceveranno i rappresentanti italiani a braccia aperte, così come hanno già ricevuto quelli degli altri paesi che prontamente hanno reso omaggio alla nuova TUNISIA LIBERA.
http://www.emigrazione-notizie.org/news.asp?id=8484

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