Bahrain non è solo automobilismo di F1 - Obama: appoggio incondizionale al monarca del Bahrain - La retorica "umanitarista" non è applicabile dove il 70% dei sudditi sono sciiti - Rischio di contagio sul Kuwait e del riavvivinamento del Bahrain all’Iran - Lo strett0 di Hormuz non vale una messa democratica -
Tito Pulsinelli
Gli acritici aficionados ad una ascendente, inarrestabile ed epica "primavera araba" osservano con uno sguardo affetto da strabismo e -in altre circostanze- da miopia. Prevale l'ostinata inclinazione ad appiattire tutto alla misura dei propri desideri. Illusione che tutto si svolga al ritmo della medesima danza che accomunò egiziani e tunisini, che raggranellarono qualche utile risultato. Parziale, perchè la fuga dei due tiranni più amati dagli occidentali, ha indotto il passaggio del potere reale alle forze armate, o a ristretti gruppi eliteschi.
Proprio ieri, al Cairo e Tunisi sono stati repressi con durezza coloro che manifestavano per reclamare cambi effettivi, non solo di facciata. In Bolivia ed Ecuador -tanto per paragonare- è bene ricordare che le ribellioni popolari dell'ultimo decennio produssero l'abbattimento e la fuga di una decina di presidenti. Senza nessun appoggio di potenze straniere, organismi internazionali e contro la volontà dei monopolisti dell'informazione.
I tifosi dell'epica si resistono a riconoscere la differenza sostanziale tra una ribellione di piazza ed una secessione; non si differenzia tra moti di massa, pacifici e disarmati -(molti sostengono che si riducano ad attualizzazione e ricambio generazionale, indispensabile agli USA)- ed una offensiva di uomini armati che perseguono il separatismo. Per la terza volta negli ultimi 15 anni (vedi qui).
La "primavera araba" riscalda con differenti temperature una geografia sociale estesa e complessa. Però l'unica ideologia imperante, quella dei "diritti umani", si attiva solo dopo intensive campagne d'intossicazione propagandistica, condotte su scala continentale o emisferica. Sappiamo chi ne ha capacità e mezzi, e può stabilire il mostro-di-turno da abbattere. Senza "se" e senza "ma". Le opinioni pubbliche -che si abbeverano allo stesso latifondo mediatico- sono una poltiglia plasmata per mordere all'amo con simultaneità, e può essere condotta laddove esso vuole. La "teoria del mostro" -che è il suo presupposto di base- è quella che ha prodotto oltre 1 milione di vittime civili in Iraq. Solo a Washington e a Bruxelles (NATO) decidono se è un prezzo equo e solidario.
In questi giorni, le strade della capitale del Bahrain sono teatro di proteste massive, insistenti e crescenti: vogliono metter fine ad un dispotismo monarchico, superalleato degli USA. Obama, poche ore prima di dire a Gheddafi che deve togliersi dai piedi, ha riconfermato il suo appoggio totale al despota di Bahrain. Perchè?
Seria preoccupazione per la base operativa della flotta di guerra che protegge il traffico delle petroliere e l'oceano Indiano. Se la perdono, in attesa di attrezzare Gibuti- l'altra base è quella lontanissima di Diego Garcia- ritardano troppo i tempi di risposta navale.
Mentre gli occidentali mugugnano per la sospensione del Gran Premio di F1, alla Casa Bianca sentono i brividi per un possibile sconvolgimento che metterebbe in pericolo il futuro della stessa operatività in Iraq. E significherebbe la perdita -o la forte diminuzione- dell'enorme gettito petrolifero del piccolo stato e di quello dell’Irak che deve passare per la stessa rotta.
L'ideologia dei "diritti umani" è sempre ad estensione morale e geopolitica variabile, per questo non è applicabile dove il 70% dei sudditi sono sciiti. In Kuwait idem! Obama rischia il riavvivinamento del Bahrain all’Iran che dista un tiro di schioppo. In tandem potrebbero chiudere lo stretto di Hormuz, e controllare così più della metà del greggio diretto agli USA. Obama non vuole cambi in Bahrain, sta con l'attuale monarca ed ha bocciato persino la timida richiesta di una "monarchia costituzionale".
Ecco perchè la Libia funge da coperchio per tappare ben altre pentole, dove bollono zuppe indigeste per la "famiglia anglosassone". Questa, rischia perdite su vari fronti, perciò spinge per coinvolgere l'Europa alle vie di fatto. E punta ad espellere o minimizzare l'ENI dalla nuova spartizione degli idrocarburi libici. Ecco perchè Al Jazira si è allineata alla greve campagna di disinformazione sulla Libia, e tace sul Bahrain: la proprietà degli emiri teme il contagio. Si è schierata su precise posizioni politiche e di casta. Ecco perchè il Bahrain -mediaticamente-rappresenta solo un Gran Premio.
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