Non
è il trionfo di Putin - Debacle di chi ha
centralizzato tutto il potere nel Pentagono e Wall street.
Tito Pulsinelli - L'ultima commemorazione
dell'11/9 negli
Stati Uniti, ha
lasciato uno strano sapore, una inedita
sensazione. Agli antipodi dell'autocelebrazione
della ”guerra
infinita”, vale
a dire
della
fase patologica
più arrogante
e
inconcludente dell'eccezionalismo.
E' forse
mai
esistito impero alcuno eternamente belligerante? Sta
affiorando
la percezione
diffusa della fine del mito “soli contro tutti”, e
delle regole del gioco valide per chiunque.
in ogni
tempo e
luogo, di
cui hanno la facoltà di auto-esentarsi.
Avanza
la speranza e l'intuizione
dell'arrivo
di un nuovo tempo, in cui la forza bruta delle
decisioni unilaterali si
infrange
contro lo
scoglio multipolare. La
realtà differisce dalla sua pietrificata rappresentazione, il blocco dei più può
fermare la mano degli apocalittici.
L'articolo
di Putin apparso sul New York Times (qui) sorprende
-al di là dei contenuti- per la dirompente forza simbolica che
emana.
Stupisce
per il momento e il luogo in cui è stato diffuso, per
il tono, perchè accredita una Russia amante della ragione e del
buon senso, opposta
alla
coazione a ripetere "soluzioni" militari ottuse e
prive di sostegno.
E'
un cambio
d'epoca ai suoi
primi
passi?
Obama
ha accettato con sorprendente rapidità la proposta del disarmo
chimico della Siria
avanzata da Putin, apparso
come uno
che gli ha tolto le castagne
dal fuoco, un attimo prima che bruciassero. Però non si tratta solo della crisi di
Obama, di un leader
finora “vincente” -almeno
nella dimensione mediatica- ma che non ha quagliato granchè dalla
sua attualizzazione ondivaga della
dogmatica ufficiale. Non si
tratta neppure d'un generico
“crepuscolo dell'occidente”, visto
che l'Europa è ridotta alla passività di un'enclave, al traino dal
1945 e con nullo potere decisionale. Pertanto la
necessità di invocare responsabilità
condivise per la debacle siriana è una
forzatura consolatoria, non altro.
C'è
uno spaesamento diffuso, susseguente ad una rottura di schemi, in
cui la Siria rinvia
-ampliati-
i contorni della crisi
concreta degli
Stati Uniti. Principalmente
della miopia della classe dirigente, incapace di una lettura
corretta del panorama interno e internazionale. Risposte seriali,
diagnosi con terapie fisse, mentre si fa evanescente l'ossessivo
culto della
violenza come gran pedagoga
del mercato-mondo. Due guerre in un
decennio (Afganistan, Iraq), la disseminazione generalizzata
di guerre civili multifocali, si rivelano inadatte a
bloccare
la perdita di status. I
costi immani hanno
beneficiato solo l'oligarchia finanziaria, non
la nazione nè i suoi
cittadini.
L'ala destra dei repubblicani con quella sinistra dei democratici, accanto alla disperazione dei settori non rappresentati, danno luogo a una miscela con forza dissolvente, anti-federale e tendenzialmente neo-isolazionista. Il malessere coagula un'opposizione centrifuga di tutti gli ingannati dalle promesse tradite di Obama; quelli a cui sono stati sforbiciati redditi e diritti contro coloro che li hanno accresciuti o almeno conservati.
Il retrogusto lasciato da questo 11/9, con la lettera di
Putin come elemento rivelatore simbolico, è un dato che informa sul
miopismo dell'elite, aggrappata con forza al “secolo XX”, ai fasti effimeri della globalizzazione, a cui il "multipolarismo non è pervenuto”. Contrapposti alla sensazione di sollievo diffusa
alla base quasi come uno “scampato pericolo”. Diffondere il grido
di “Annibale alle porte” è un fragile scudo difensivo, perchè non è il
trionfo di Putin. E' peggio. E' la debacle di chi ha centralizzato tutto
il potere nel Pentagono e Wall street, minimizzando la democrazia in casa e la convivenza pacifica all'estero.
Analogie da brivido con il periodo
agonico dell'URSS, con ricambi vertiginosi e frequenti dei vertici militari, ricorso a leggi speciali e vessatorie, e il protagonismo smisurato e sfrontato di troppe polizie politiche segrete. Cominciò tutto quell'11/9 e le Torri: nelle Americhe molti lo identificaro come un golpe, e non si è più fermato. Fino a trattare capi di stato, governi terzi, sedi di organismi internazionali, ambasciate, banche e compagnie concorrenti straniere alla stregua delle discriminate
minoranze interne. In nome di un "antiterrorismo" divenuto un grimaldello passepartout. No, non è solo il crepuscolo d'un presidente o dell'occidente.
E' l'appannato processo decisionale degli Stati Uniti approdato visibilmente all'egemonismo relativo perchè scricchiola il sistema liberista, ormai privo dell'aura del progresso inarrestabile e obbligatorio. Il ritorno alle origini ataviche anglosax, cioè all'arrembaggio della filibusta e alle ardite gesta corsare, disvela e svaluta l'espansionismo globalista come un vuoto messianismo. Gli abiti di scena del couturier liberista, non nascondono più le zanne del nichilismo economico. Inconciliabile con le maggioranze sociali, con le nazioni e i popoli, con l'umanesimo e la tradizione.
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