jueves, 3 de abril de 2014

VENEZUELA:UNA RIVOLTA DEI RICCHI, NON UNA CAMPAGNA DI TERRORE

MARK WEISBROT The Guardian - Le immagini forgiano la realtà, e questo dà alla televisione, ai video, perfino alle fotografie, un potere che può scavare in profondità nella mente delle persone, anche senza che se ne rendano conto. E anche io pensavo di essere immune alle descrizioni ripetitive del Venezuela come uno stato fallito, piagato da una rivolta popolare.

Ma non ero preparato per quello a cui ho assistito a Caracas questo mese, ossia vedere quanta poca quotidianità fosse all’interno delle proteste, quella normalità che ha prevalso nella stragrande maggioranza della città: anche io ero stato convinto dall’immaginario dei media.
I resoconti dei media più diffusi hanno già riportato che i poveri in Venezuela non hanno aderito alle proteste dell'opposizione di destra, ma si tratta di un eufemismo: non solo i poveri si sono astenuti, ma quasi tutti a Caracas, eccetto gli abitanti di alcune aree come Altamira, dove piccoli gruppi di manifestanti hanno ingaggiato degli scontri notturni con le forze di polizia, scagliando pietre e bombe incendiarie, scappando poi dai gas lacrimogeni. 

Andando a piedi dal quartiere operaio di Sabana Grande verso il centro della città, non c'è nessun indizio che il Venezuela sia sull'orlo di una "crisi" che richieda l'intervento dell'Organizzazione degli Stati Americani (OAS), nonostante quello che dica John Kerry. La metropolitana funziona benissimo, anche se non sono riuscito a scendere alla stazione Altamira, dove i ribelli avevano stabilito la loro base operativa fino a quando non sono stati sgomberati questa settimana.

  Ho visto per la prima volta le barricate a Los Palos Grandes, una zona ad alto reddito dove i manifestanti hanno il sostegno popolare e i residenti urlano contro chiunque tenti di rimuovere le barricate, una cosa davvero rischiosa, visto che almeno quattro persone sembra che siano state uccise a colpi di arma da fuoco  per averci provato. Ma anche vicino alle barricate la vita era abbastanza normale, a parte qualche ingorgo nel traffico. Nel fine settimana il Parque del Este era pieno di famiglie e corridori che sudavano sotto i 32 gradi - prima di Chávez, si doveva pagare per entrare e i residenti, mi è stato detto, erano delusi perché aveva permesso ai meno abbienti di entrare gratis. I ristoranti sono ancora affollati a notte fonda.

Viaggiare permette di verrificare la realtà, e ho visitato Caracas principalmente per avere informazioni sulla situazione economica. Ma sono diventato scettico riguardo la narrativa riportata quotidianamente dai media, secondo cui la carenza di alimenti di base e di beni di consumo era una seria motivazione delle proteste. Le persone che sono più a disagio per queste mancanze sono, naturalmente, i poveri e le classi lavoratrici. Ma gli abitanti di Los Palos Grandes e di Altamira, dove ho visto le vere proteste, hanno servi allineati a soddisfare i loro bisogni, oltre al reddito e e allo spazio per accumulare riserve.

Queste persone non stanno soffrendo, anzi, se la passano molto molto bene. Il loro reddito è aumentato a ritmo sostenuto da quando, un decennio fa, il governo di Chávez ha preso il controllo dell'industria petrolifera. Hanno anche avuto un grande sostegno dal governo: chiunque abbia una carta di credito (ad eccezione di milioni di poveri e di classe operaia) ha diritto a 3.000 dollari l’anno a un tasso di cambio sussidiato dal governo. Possono poi vendere i dollari a sei volte il prezzo che hanno pagato, in aggiunta ai sussidi annuali multimilionari destinati ai privilegiati: ma sono loro a fornire la base e le truppe della ribellione.

La natura di classe di questa lotta è sempre netta e inconfutabile, ora più che mai. Passeggiando tra la folla accorsa alla cerimonia dell'anniversario della morte di Chávez il 5 marzo scorso, ho visto un mare di venezuelani della classe operaia, a decine di migliaia. Non c’erano vestiti costosi o scarpe da 300 dollari. Davvero un bel contrasto con le masse scontente di Los Palos Grandes, con le jeep Grand Cherokee da 40.000 dollari che espongono lo slogan del momento: SOS VENEZUELA.

Per quanto riguarda il Venezuela, John Kerry sa da che parte schierarsi in questa guerra di classe. La settimana scorsa, proprio mentre stavo lasciando la città, il Segretario di Stato degli Stati Uniti ha raddoppiato le sue raffiche di retorica contro il governo, accusando il Presidente Nicolás Maduro di promuovere una “campagna di terrore contro la sua gente”. Kerry ha anche minacciato di invocare l’Inter-American Democratic Charter dell’OAS contro il Venezuela, e anche di implementare alcune sanzioni.
Brandire il Democratic Charter contro il Venezuela è quasi come minacciare Vladimir Putin con un voto sponsorizzato dall'ONU per la secessione della Crimea. 

Forse Kerry non lo ha notato, ma solo pochi giorni prima dell’arrivo delle sue minacce l’OAS aveva votato una risoluzione promossa da Washington contro il Venezuela, e l'ha rigirata come un calzino, dichiarando la “solidarietà”  dell'organizzazione regionale a favore del governo di Maduro. Ventinove paesi l’hanno approvato, con la sola eccezione dei governi di destra di Panama e Canada a fianco degli Stati Uniti.

L’Articolo 21 del Democratic Charter dell’OAS tratta della “sospensione incostituzionale dell’ordine democratico di uno stato membro” (come nel caso del colpo di stato militare in Honduras del 2009 - che Washington contribuì a legittimare - o il colpo di stato militare del 2002 in Venezuela, aiutato ancor di più dal governo americano). Vista la sua recente votazione, l’OAS potrebbe più facilmente invocare il Democratic Charter contro il governo statunitense per gli omicidi dei droni dei suoi cittadini senza processo invece di farlo contro il Venezuela.

La retorica della "campagna del terrore" di Kerry è allo stesso modo alienata dalla realtà, e ha prevedibilmente provocato una risposta analoga dal Ministro degli Esteri del Venezuela, che ha definito Kerry un “assassino”. Ecco la verità sulle accuse verso Kerry: da quando sono iniziate le proteste di Venezuela, sembra che siano state uccise più persone da parte dei manifestanti che dalle forze di sicurezza. Basandosi sulle morti riportate dal CEPR per lo scorso mese, oltre alle persone uccise che rimuovevano le barricate dei rivoltosi, almeno sette persone sembra che siano state uccise dalle interruzioni provocate dei manifestanti, tra cui un motociclista che è stato decapitato da uno filo spinato steso in mezzo alla strada, e altri cinque membri della Guardia Nazionale hanno perso la vita.

Per quanto riguarda la violenza della polizia, sembra che almeno tre persone siano state uccise dalla Guardia Nazionale o dalle forze di sicurezza, tra cui due manifestati e un attivista pro-governativo. Alcuni incolpano il governo anche per l’uccisione di altre persone da parte di civili armati; in un paese con una media di oltre 65 omicidi al giorno, è possibile che queste persone abbiano agito per conto proprio.
Un totale di 21 membri delle forze di sicurezza sono in arresto per presunti abusi, compresi alcuni omicidi. Non c’è nessuna “campagna del terrore”.

Allo stesso tempo, è difficile scovare una qualche seria denuncia della violenza dell’opposizione da parte dei dirigenti contrari al governo. I sondaggi rivelano che le rivolte sono molto impopolari in Venezuela, anche se hanno un favore superiore all’esterno quando vengono promosse come “proteste pacifiche” da gente come Kerry. I dati suggeriscono che la gra parte dei Venezuelani considera questi disordini solo un tentativo di rovesciare il governo eletto con l’uso della forza.

La politica interna della posizione di Kerry è abbastanza semplice. Da un lato, abbiamo in Florida la lobby di destra cubano-americana e i loro alleati neoconservatori che vogliono il cambio di regime. A sinistra dell'estrema destra, non c’è niente. Questa Casa Bianca si preoccupa davvero poco dell'America Latina, e non ci sono conseguenze elettorali anche se la gran parte dei governi di questo emisfero diventa sempre più disgustata da Washington.

Forse Kerry pensa che l'economia del Venezuela stia per crollare e questo porterà alcuni venezuelani non abbienti in piazza contro il governo. Ma la situazione economica è al momento stabile, l’inflazione mensile è scesa a febbraio e il dollaro al mercato nero è calato drasticamente alla notizia che il governo sta introducendo un nuovo tasso di cambio, basato sul mercato. Le obbligazioni sovrane del Venezuela sono dalite dell’11.5% dall’11 febbraio (il giorno che ha preceduto l’inizio delle proteste) al 13 marzo; per Bloomberg, è il massimo rendimento obbligazionario tra i mercati emergenti. Le scarsità di merci probabilmente si alleggeriranno nelle prossime settimane e mesi.

Naturalmente, è proprio questo il problema principale dell'opposizione: le prossime elezioni saranno fra un anno, e allora la difficoltà economiche e l'inflazione, che sono tanto aumentate negli ultimi quindici mesi, verranno ridotte. L’opposizione potrà così perdere le elezioni parlamentari, così come ha perso tutte le elezioni degli ultimi quindici anni. Ma l’attuale strategia insurrezionale non sta aiutando la loro causa: sembra che abbia diviso l'opposizione e unito i Chavisti.
L'unico posto dove l'opposizione sembra guadagnare ampio sostegno è Washington.

Link: The truth about Venezuela: a revolt of the well-off, not a 'terror campaign'

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