MARK WEISBROT The Guardian - Le immagini forgiano la realtà, e questo dà alla televisione, ai
video, perfino alle fotografie, un potere che può scavare in profondità
nella mente delle persone, anche senza che se ne rendano conto. E anche
io pensavo di essere immune alle descrizioni ripetitive del Venezuela
come uno stato fallito, piagato da una rivolta popolare.
Ma non ero preparato per quello a cui ho assistito a Caracas questo
mese, ossia vedere quanta poca quotidianità fosse all’interno delle
proteste, quella normalità che ha prevalso nella stragrande maggioranza
della città: anche io ero stato convinto dall’immaginario dei media.
I resoconti dei media più diffusi hanno già riportato
che i poveri in Venezuela non hanno aderito alle proteste
dell'opposizione di destra, ma si tratta di un eufemismo: non solo i
poveri si sono astenuti, ma quasi tutti a Caracas, eccetto gli abitanti
di alcune aree come Altamira, dove piccoli gruppi di manifestanti hanno
ingaggiato degli scontri notturni con le forze di polizia, scagliando
pietre e bombe incendiarie, scappando poi dai gas lacrimogeni.
Andando a piedi dal quartiere operaio di Sabana Grande verso il
centro della città, non c'è nessun indizio che il Venezuela sia
sull'orlo di una "crisi" che richieda l'intervento dell'Organizzazione
degli Stati Americani (OAS), nonostante quello che dica John Kerry. La
metropolitana funziona benissimo, anche se non sono riuscito a scendere
alla stazione Altamira, dove i ribelli avevano stabilito la loro base
operativa fino a quando non sono stati sgomberati questa settimana.
Ho visto per la prima volta le barricate a Los Palos Grandes, una
zona ad alto reddito dove i manifestanti hanno il sostegno popolare e i
residenti urlano contro chiunque tenti di rimuovere le barricate, una
cosa davvero rischiosa, visto che almeno quattro persone sembra che siano state uccise a colpi di arma da fuoco
per averci provato. Ma anche vicino alle barricate la vita era
abbastanza normale, a parte qualche ingorgo nel traffico. Nel fine
settimana il Parque del Este era pieno di famiglie e corridori che
sudavano sotto i 32 gradi - prima di Chávez, si doveva pagare per
entrare e i residenti, mi è stato detto, erano delusi perché aveva
permesso ai meno abbienti di entrare gratis. I ristoranti sono ancora
affollati a notte fonda.
Viaggiare permette di verrificare la realtà, e ho visitato Caracas
principalmente per avere informazioni sulla situazione economica. Ma
sono diventato scettico riguardo la narrativa riportata quotidianamente
dai media, secondo cui la carenza di alimenti di base e di beni di
consumo era una seria motivazione delle proteste. Le persone che sono
più a disagio per queste mancanze sono, naturalmente, i poveri e le
classi lavoratrici. Ma gli abitanti di Los Palos Grandes e di Altamira,
dove ho visto le vere proteste, hanno servi allineati a soddisfare i
loro bisogni, oltre al reddito e e allo spazio per accumulare riserve.
Queste persone non stanno soffrendo, anzi, se la passano molto molto
bene. Il loro reddito è aumentato a ritmo sostenuto da quando, un
decennio fa, il governo di Chávez ha preso il controllo dell'industria
petrolifera. Hanno anche avuto un grande sostegno dal governo: chiunque
abbia una carta di credito (ad eccezione di milioni di poveri e di
classe operaia) ha diritto a 3.000 dollari l’anno a un tasso di cambio sussidiato dal governo.
Possono poi vendere i dollari a sei volte il prezzo che hanno pagato,
in aggiunta ai sussidi annuali multimilionari destinati ai privilegiati:
ma sono loro a fornire la base e le truppe della ribellione.
La natura di classe di questa lotta è sempre netta e inconfutabile,
ora più che mai. Passeggiando tra la folla accorsa alla cerimonia
dell'anniversario della morte di Chávez il 5 marzo scorso, ho visto un
mare di venezuelani della classe operaia, a decine di migliaia. Non
c’erano vestiti costosi o scarpe da 300 dollari. Davvero un bel
contrasto con le masse scontente di Los Palos Grandes, con le jeep Grand
Cherokee da 40.000 dollari che espongono lo slogan del momento: SOS
VENEZUELA.
Per quanto riguarda il Venezuela, John Kerry sa da che parte
schierarsi in questa guerra di classe. La settimana scorsa, proprio
mentre stavo lasciando la città, il Segretario di Stato degli Stati
Uniti ha raddoppiato le sue raffiche di retorica contro il governo, accusando il Presidente Nicolás Maduro di promuovere una “campagna di terrore contro la sua gente”. Kerry ha anche minacciato di invocare l’Inter-American Democratic Charter dell’OAS contro il Venezuela, e anche di implementare alcune sanzioni.
Brandire il Democratic Charter contro il Venezuela è quasi come
minacciare Vladimir Putin con un voto sponsorizzato dall'ONU per la
secessione della Crimea.
Forse Kerry non lo ha notato, ma solo pochi
giorni prima dell’arrivo delle sue minacce l’OAS aveva votato una
risoluzione promossa da Washington contro il Venezuela, e l'ha rigirata
come un calzino, dichiarando la “solidarietà” dell'organizzazione
regionale a favore del governo di Maduro. Ventinove paesi l’hanno
approvato, con la sola eccezione dei governi di destra di Panama e Canada a fianco degli Stati Uniti.
L’Articolo 21 del Democratic Charter dell’OAS tratta della “sospensione incostituzionale dell’ordine democratico di uno stato membro” (come nel caso del colpo di stato militare in Honduras del 2009 - che Washington contribuì a legittimare - o il colpo di stato militare del 2002 in Venezuela, aiutato ancor di più dal
governo americano). Vista la sua recente votazione, l’OAS potrebbe più
facilmente invocare il Democratic Charter contro il governo statunitense
per gli omicidi dei droni dei suoi cittadini senza processo invece di
farlo contro il Venezuela.
La retorica della "campagna del terrore" di Kerry è allo stesso modo
alienata dalla realtà, e ha prevedibilmente provocato una risposta
analoga dal Ministro degli Esteri del Venezuela, che ha definito Kerry un “assassino”. Ecco la verità sulle accuse verso Kerry: da quando sono iniziate le proteste di Venezuela, sembra che siano state uccise più
persone da parte dei manifestanti che dalle forze di sicurezza.
Basandosi sulle morti riportate dal CEPR per lo scorso mese, oltre alle
persone uccise che rimuovevano le barricate dei rivoltosi, almeno sette
persone sembra che siano state uccise dalle interruzioni provocate dei
manifestanti, tra cui un motociclista che è stato decapitato da uno filo
spinato steso in mezzo alla strada, e altri cinque membri della Guardia Nazionale hanno perso la vita.
Per quanto riguarda la violenza della polizia, sembra che almeno tre
persone siano state uccise dalla Guardia Nazionale o dalle forze di
sicurezza, tra cui due manifestati e un attivista pro-governativo.
Alcuni incolpano il governo anche per l’uccisione di altre persone da
parte di civili armati; in un paese con una media di oltre 65 omicidi al giorno, è possibile che queste persone abbiano agito per conto proprio.
Un totale di 21 membri delle forze di sicurezza sono in arresto per presunti abusi, compresi alcuni omicidi. Non c’è nessuna “campagna del terrore”.
Allo stesso tempo, è difficile scovare una qualche seria denuncia della violenza dell’opposizione da parte dei dirigenti contrari al governo. I sondaggi
rivelano che le rivolte sono molto impopolari in Venezuela, anche se
hanno un favore superiore all’esterno quando vengono promosse come
“proteste pacifiche” da gente come Kerry. I dati suggeriscono che la gra
parte dei Venezuelani considera questi disordini solo un tentativo di
rovesciare il governo eletto con l’uso della forza.
La politica interna della posizione di Kerry è abbastanza semplice.
Da un lato, abbiamo in Florida la lobby di destra cubano-americana e i
loro alleati neoconservatori che vogliono il cambio di regime. A
sinistra dell'estrema destra, non c’è niente. Questa Casa Bianca si
preoccupa davvero poco dell'America Latina, e non ci sono conseguenze
elettorali anche se la gran parte dei governi di questo emisfero diventa
sempre più disgustata da Washington.
Forse Kerry pensa che l'economia del Venezuela stia per crollare e
questo porterà alcuni venezuelani non abbienti in piazza contro il
governo. Ma la situazione economica è al momento stabile, l’inflazione
mensile è scesa a febbraio e il dollaro al mercato nero è calato
drasticamente alla notizia che il governo sta introducendo un nuovo
tasso di cambio, basato sul mercato. Le obbligazioni sovrane del
Venezuela sono dalite dell’11.5% dall’11 febbraio (il giorno che ha preceduto l’inizio delle proteste)
al 13 marzo; per Bloomberg, è il massimo rendimento obbligazionario tra
i mercati emergenti. Le scarsità di merci probabilmente si
alleggeriranno nelle prossime settimane e mesi.
Naturalmente, è proprio questo il problema principale
dell'opposizione: le prossime elezioni saranno fra un anno, e allora la
difficoltà economiche e l'inflazione, che sono tanto aumentate negli
ultimi quindici mesi, verranno ridotte. L’opposizione potrà così perdere
le elezioni parlamentari, così come ha perso tutte le elezioni degli
ultimi quindici anni. Ma l’attuale strategia insurrezionale non sta
aiutando la loro causa: sembra che abbia diviso l'opposizione e unito i
Chavisti.
L'unico posto dove l'opposizione sembra guadagnare ampio sostegno è Washington.
Link: The truth about Venezuela: a revolt of the well-off, not a 'terror campaign'
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