Alessio Mulas A pochi giorni dalle
elezioni ungheresi, che hanno visto una netta riconferma della fiducia
dell’elettorato in Fidesz (al governo nella maggioranza delle contee),
si assiste all’eterno ritorno delle polemiche sull’amato presidente
Viktor Orban. Già lo scorso 26 settembre aveva
fatto discutere la notizia dell’interruzione del transito di gas dal
Paese magiaro verso l’Ucraina, dopo l’accordo del governo ungherese con
la compagnia russa Gazprom. Motivo ufficiale era stato l’aumento della
domanda interna, che non avrebbe permesso alla compagnia
ungherese Fgsz
l’esportazione di risorse energetiche verso il vicino pari a 6,1
miliardi di metri cubi all’anno, non pochi in tempo di visite del
Generale Inverno.
Gli ucraini della Neftogaz avevano replicato con
disappunto che “una decisione del genere va contro i principi base di un
mercato unico europeo dell’energia”. Ma con
Orban non si scherza: ha dimostrato spesso di anteporre le necessità
dello Stato a quelle dell’Unione europea e del suo abietto mercato, riformando la Banca Centrale Ungherese
(tuttora statale), rifiutandosi di entrare nell’Eurozona e combattendo a
suon di leggi «contro i burocrati che vogliono comandare in casa
d’altri».
Gli accordi con Gazprom e l’aumentata tensione con gli Stati Uniti – dopo che l’amministrazione
Obama ha negato il visto per gli States a sei funzionari magiari,
sospettati di corruzione – sono coevi all’agognata distensione dei
rapporti con la Federazione Russa. Nei mesi scorso Viktor Orban non
aveva fatto attendere il suo disappunto verso quella «zappata sui piedi»
delle sanzioni europee contro Mosca.
La
Commissione economia del Parlamento, guidata dal parlamentare Antal
Rogan, parlamentare di Fidesz, ha presentato un emendamento a una legge
energetica nazionale che – come riportato il 22 ottobre dall’agenzia TMNews, riprendendo il giornale economico online Portfolio.hu – permetterebbe la costruzione del gasdotto South Stream, nonostante il blocco imposto dall’Ue.
Lo «Stato-Fidesz», come titolava dopo le ultime elezioni il Népszabadság,
il giornale della sinistra ungherese, prosegue nella direzione indicata
da Viktor Orban e condivisa da Jobbik, il partito di destra radicale
che attualmente tiene lo scettro dell’opposizione. Gábor
Vona, leader di Jobbik, ha mostrato da una parte interesse verso
l’euràzsianizmust (eurasiatismo) e la Russia di Putin, dall’altra la
consapevolezza che la «fascia turanica», estesa dall’Ungheria alla Cina,
sia oggi uno scacchiere geopolitico di importanza mondiale, attraverso
il quale l’Ungheria potrebbe giocare mosse intelligenti per smarcarsi
dall’Unione europea e dagli odiati burocrati[1].
In
breve, sia il Presidente che la sua principale opposizione sono
d’accordo su quella keleti fordulat (svolta ad Oriente), grazie alla
quale gli ungheresi potrebbero ricostruire un sistema agricolo e
industriale invidiabile nel panorama est-europeo. L’Ungheria si appresta
a dare ascolto alla parola d’ordine di Pál Teleki, geografo e primo ministro magiaro dal 1920 al 1921 e dal 1939 al 1941: Keletre, magyar! A oriente, Ungherese!
[1] C. Mutti, “A oriente, Ungherese!”, “Eurasia”, 3/2012, pp.201-204.
fonte: lintellettualedissidente
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