corriere della collera “Introduzione sulla città di Aleppo.
La città di Aleppo è considerata la più antica città abitata ininterrottamente della storia, la sua fondazione risale a 12.000 anni A.C. Infatti, nel 1986, L’UNESCO l’ha registrata come la città più antica del patrimonio dell’umanità. L’importanza di Aleppo si attribuisce alla sua posizione centrale nella strada della seta che collegava l’India con l’Europa, e per lo steso motivo, i mercanti di Venezia nel Medioevo la scelsero nel 1548 per la sede del loro consolato. Aleppo è anche la capitale commerciale della Siria. La sua popolazione svolge diverse
attività economiche, ma l’attività predominante è quella industriale. Nel 2011, in Aleppo si registravano circa 40.000 imprese industriali nelle quali lavorava circa un milione di persone. Il contributo dell’economia di Aleppo nel PIL nazionale era circa il 40%, e la città è stata classificata come la prima città industriale della Siria.
Il governatorato di Aleppo è il più grande della Siria per il numero di abitanti. Nel 2010 la popolazione del governatorato contava circa 5 milioni. La maggioranza degli abitanti di Aleppo sono arabi e vi è una minoranza di curdi, armeni, cercassi, turkmeni, sciiti e altri. L’85% della popolazione sono arabi musulmani sunniti, mentre la popolazione cristiana di Aleppo rappresenta la seconda più grande comunità cristiana nel Medio Oriente (circa il 10% dopo i 15% di Beirut).
I cristiani in Aleppo appartengono a diverse confessioni. Vi sono siriaci, armeni, greco-melchiti divisi tra gli ortodossi e i cattolici, oltre a latini, maroniti, caldei e evangelici. I cristiani in Siria hanno vissuto in pace con i musulmani per 1400 anni, perché l’islam in Siria è un islam moderato, custode dei valori, che crede nel dialogo, nella convivenza pacifica e nei valori umani ed è ben diverso dall’islam che inneggia oggi al radicalismo e al salafismo. Questo tipo di Islam non l’abbiamo visto né mai è stato presente in Siria. La migliore testimonianza di ciò è il discorso pronunciato dal Gran Muftì della Siria, lo sceicco Ahmad Badr ad-Din Hassoun al Parlamento Europeo nel 2008.
Punto primo: Gli eventi in Siria e in Aleppo
La mobilitazione popolare, la cosiddetta “rivoluzione” che inneggiava alla libertà, è stata pianificata dall’esterno e ha trovato il sostegno presso la popolazione attraverso le elargizioni di denaro e le promesse di migliorare i servizi. Successivamente, una parte terza è stata messa in gioco con l’obiettivo di fomentare la situazione e trasformarla in un conflitto armato e sanguinoso. Le forze dell’ordine (la polizia e successivamente l’esercito) venivano rappresentate quindi come una forza che uccide il popolo.
Toccando queste corde, per creare la spaccatura tra il governo e il popolo, è stata innescata anche la sedizione confessionale attribuendo al governo l’immagine di un regime di oppressione. Così facendo, si sono potute giustificare le rivendicazioni per spodestarlo. Nello stesso tempo, i gruppi armati ricevevano il sopporto per seminare il caos in Siria; un caos guidato dai finanziamenti esterni e da una propaganda mediatica pilotata. In questo modo, i gruppi armati hanno preso sotto il loro controllo vaste zone della Siria.
In Aleppo, la città si è suddivisa in una zona occidentale sotto il controllo governativo e quella orientale sotto il controllo dei gruppi armati. Dalla zona orientale sono cominciati gli attacchi terroristici contro la popolazione della zona occidentale; i lanci dei missili, dei colpi di mortaio e delle cariche di esplosivi hanno causato, e causano ancora, molte vittime innocenti e tantissimi feriti. Questi eventi e la condizione in cui vive la popolazione civile, tuttavia, sono rimasti senza attenzione, ma gli abitanti della città sono ancora la vittima di questo sporco gioco.
Punto secondo: Le conseguenze della crisi in Aleppo
- Le condizioni di sicurezza: Aleppo è diventata un campo di battaglia ed è difficile spostarvisi a causa del lancio dei missili e degli ordigni esplosivi improvvisati. Hanno avuto luogo anche casi di rapimento di persone che hanno tentato di viaggiare o di andarsene. Così, abbiamo vissuto lunghi periodi di paura: la paura di uscire da casa per andare a scuola o al lavoro, la paura di rimanere a casa, la paura di rimanere in Aleppo e la paura di mettersi in viaggio!
- I servizi: sono cinque anni che Aleppo soffre da continue interruzioni della corrente elettrica che paralizzano la vita e il lavoro nella città. Per far fronte a questa crisi, il governo ha consentito l’installazione di generatori in società tra i privati, ma essi hanno un costo molto elevato per i cittadini: ogni ampere di corrente costa 1.000 lire siriane a settimana! Se una famiglia vuole prendere la quota di 2 ampere dovrà pagare 8.000 lire al mese. Questa cifra è circa il quarto dello stipendio di un impiegato! La città è colpita anche dalla mancanza dell’approvvigionamento idrico dell’acqua potabile dato che la sede centrale dell’impianto è in mano ai combattenti di Jabhat an-Nusra, che, secondo le istruzioni che ricevono, bloccano il passaggio dell’acqua o lo consentono.
- Gli abitanti di Aleppo soffrono la sete, specialmente nelle giornate afose e calde dell’estate. Le organizzazioni della società civile hanno provveduto a scavare dei pozzi direttamente nelle strade della città. Quest’acqua spesso non è potabile, ma ciò nonostante viene utilizzata, il che ha provocato la diffusione di malattie ed epidemie durante la stagione invernale e estiva. Si registra anche la carenza della benzina che ha causato la paralisi del trasporto pubblico. Scarseggia anche l’olio combustibile (mazut), soprattutto nella stagione invernale, dato che questo olio è il mezzo principale usato per il riscaldamento delle abitazioni. Nel 2013, alcune famiglie sono state costrette a bruciare persino gli infissi delle loro case per potersi scaldare. Per non parlare poi dell’interruzione dei servizi internet che ha ostacolato il funzionamento degli uffici pubblici rendendo difficoltoso ai cittadini l’ottenimento dei documenti e dei certificati ufficiali.
- L’istruzione: E’ fortemente compromessa dato che la maggior parte delle scuole di nuova costruzione si trova al di fuori del centro della città. Si è ricorso all’utilizzo delle sale delle chiese formando classi misti, oppure si è cercato di disporre i doppi turni alternati, mattutini e serali, nella stessa scuola. Queste difficoltà sono aggravate ulteriormente dall’interruzione della corrente elettrica.
- La sanità: Ha subito consistenti danni con la distruzione dell’ospedale al-Kindi, tra i più grandi nella città e il principale complesso ospedaliero in essa. A causa dell’interruzione della corrente elettrica e della carenza dell’olio combustibile, le altre strutture ospedaliere hanno difficoltà ad erogare i servizi sanitari. Un’ulteriore impedimento è dovuto ai grossi danni subiti dagli stabilimenti farmaceutici causando così la mancanza dei farmaci. Tutti questi motivi hanno recato un enorme danno al settore sanitario, ma chi ne soffre di più sono i pazienti.
- L’economia: Il settore economico è stato il primo ad essere colpito con l’imposizione delle sanzioni economiche che hanno impedito agli industriali e ai commercianti di svolgere liberamente le loro attività, dato gli ostacoli al trasferimento del denaro da e verso l’estero. La disoccupazione in Aleppo è dovuta anche alla distruzione delle fabbriche e degli stabilimenti industriali che si trovavano nella zona industriale al nord di Aleppo, vicino ai confini con la Turchia. Inoltre, ha avuto luogo anche il furto di molti macchinari e attrezzature industriali che poi sono stati trafficati in Turchia. L’inflazione ha portato alla svalutazione della lira siriana oltre 10 volte. Questi e altri motivi hanno fatto sì che l’80% della popolazione vive al di sotto della soglia della povertà.
- Le condizioni umanitarie: a seguito dei motivi sopraindicati la situazione umanitaria ora è estremamente drammatica. Ogni famiglia ha perso qualcuno dei suoi membri, morto nella guerra. Di conseguenza, vi sono tante vedove e bambini orfani che hanno bisogno di mezzi di sostentamento e di educazione. I sopravvissuti alle ferite invece sono diventati disabili e hanno bisogno di sostegno e di programmi di recupero per potersi reinserire attivamente nella società. Un problema crescente è quello delle patologie psicologiche, soprattutto nei bambini, provocate dalla paura che si vive quotidianamente.
Punto terzo: lo sfollamento e l’emorragia dell’emigrazione
Non vi è alcun dubbio che l’essere umano deve godere della libertà di movimento e di potersi scegliere il posto in cui vivere. Tuttavia, la guerra in Siria ha costretto molti cittadini, che vivevano in prosperità e benessere, ad abbandonare le loro città e le loro abitazioni trasferendosi in altri luoghi, dove vivono ora umiliati ed abbattuti moralmente. Mai avrebbero pensato di traferirsi dalle loro case se non per gli eventi drammatici accaduti in Siria. Per molti di loro, infatti, il motivo per andarsene è stato la distruzione dell’abitazione o la morte di un familiare. Vi è anche che è fuggito ancora prima, per la paura che una cosa simile gli possa accadere.
Prima della guerra, la popolazione in Siria era circa 23 milioni di persone, mentre oggi questo numero non supera i 13 milioni! Il che significa che metà della popolazione ora sono emigrati e sfollati. Dai 5 milioni, il numero degli abitanti di Aleppo prima della crisi, ne sono rimasti oggigiorno solo circa un 1.8 milione! Questa emigrazione è di tre tipi:
- Emigrazione interna: da una città della Siria verso un’altra. Questa è stata la scelta di molti abitanti di Aleppo all’inizio della crisi. Tanti hanno preferito lasciare la loro città per andare a vivere in un’altra più sicura.
- Emigrazione verso un paese estero vicino: Sono i cittadini che hanno lasciato la Siria e si trovano ora nei campi profughi in Libano, Giordani e Turchia. Questi si dividono in coloro che desiderano tornare in Siria con la fine della crisi, mentre gli altri vorrebbero emigrare altrove.
- Emigrazione verso un paese estero lontano: sono coloro che hanno attraversato il mare o hanno viaggiato via terra per giungere i paesi europei per chiedervi asilo, oppure coloro che hanno ottenuto i visti d’ingresso tramite le agenzie dell’ONU o le ambasciate dei paesi ospitanti.
- L’emigrazione causa la fuga di cervelli e degli intellettuali: molti dei nostri fedeli si trovano ora all’estero, specialmente i giovani laureati e specializzati in materie scientifiche. Lavorano nei paesi dove vivono ora e hanno l’intenzione di stabilizzarvisi. Questa fascia della società, però, è quella sulla quale ci dobbiamo basare per ricostruire la Siria e per creare una generazione aperta al dialogo e attiva politicamente per la propria nazione. Ma il rischio è che loro non tornino. Così la Siria perderebbe i suoi figli, intelligenti e istruiti, che avrebbero potuto contribuire allo sviluppo del paese.
- L’emigrazione dei salafiti, dei fanatici e dei terroristi: che, approfittando della situazione umanitaria che si è creata, costituiscono un enorme pericolo per i paesi ospitanti. Dalla nostra esperienza nei centri profughi abbiamo notato che vi erano famigliari di persone che hanno portato le armi, o di altre, di orientamento salafita. Queste famiglie, una volta emigrate all’ estero, hanno chiesto il ricongiungimento familiare. In questo modo, i terroristi, i combattenti armati e i salafiti sono riusciti ad entrare legalmente nei paesi ospitanti, che gli hanno dato accoglienza senza sapere chi fossero.
- La nostra posizione della guerra: La chiesa, per principio, è contraria alla guerra, a prescindere da chi l’abbia iniziata o dalle motivazioni di essa. La chiesa è contraria alla uccisione delle persone qualsiasi ne sia la ragione. Essa rifiuta le soluzioni violente che recano danno alla persona, ma essa crede anche nel principio della legittima autodifesa.
Sicuramente, i cristiani rispettano la legittima autorità eletta dal popolo, la quale trae la sua legittimità solo dal popolo. Secondo i trattati internazionali, nessuno ha il potere di attribuirle questa legittimità tranne il popolo stesso. Da qui discende che la legittima autorità ha il dovere di proteggere il proprio popolo da qualsiasi rischio che minaccia la sua sicurezza, che sia interna o esterna.
Noi comprendiamo bene che nessuna guerra può definirsi giusta. Bensì tutte le guerre sono immorali perché causano la morte delle persone. Nelle guerre non ci sono vincitori perché le loro mani sono pur sempre sporche di sangue. Tuttavia, il principio della protezione dei cittadini innocenti impone allo stato di assumersi le proprie responsabilità. Le guerre accadono perché esiste chi le inizia, le finanzia, chi arma e provvede a fornire le giustificazioni per legittimarle.
Perciò, e alla luce delle condizioni di guerra che sta attraversando la nostra patria siriana, noi rispettiamo le nostre forze armate rappresentate dall’Esercito Arabo Siriano, perché vediamo come questi uomini, che sono i nostri figli e i nostri cittadini, ci difendono ogni giorno. Noi appoggiamo ogni intervento che dà sostegno alle nostre legittime forze armate affinché la sicurezza torni, al più presto possibile e con minori perdite. Noi rifiutiamo ogni intervento che vada contro le nostre legittime forze armate, che le prenda di mira o ne ostacoli l’operato. Sappiamo bene, però, che l’amputazione è l’ultima cura alla quale si ricorre e lo diciamo con rammarico e dolore.
- Il nostro operante durante la guerra: la nostra chiesta è presente in tutta la nazione e da qui deriva il suo ruolo nel dare assistenza all’uomo, a prescindere dalla sua appartenenza sociale o religiosa, specialmente alla luce delle condizioni drammatiche che coinvolgono il nostro paese. La nostra chiesa ha istituito un comitato, già attivo da cinque anni, che offre assistenza a più di 350 famiglie (circa 1500 persone). Il nostro comitato lavora in coordinamento con la Mezzaluna Rossa Siriana e in collaborazione con le organizzazioni ONU in diversi progetti tra i quali: un progetto alimentare, un progetto di vestizione, un progetto alloggiativo, un progetto per la sanità, un progetto per l’istruzione, un progetto per l’impiego, un progetto per il sostegno psicologico, e sostegno alle altre attività svolte dai giovani e dalle famiglie.
Punto quarto[1]: Le nostre aspirazioni e le nostre speranze.
Giungendo alla fine di questa breve esposizione della situazione in Siria e Aleppo, desideriamo esprimere alcune aspirazioni e speranze sulle quali lavorare, per poter ridare la vita e la pace al popolo siriano.
- Operare per fermare la guerra immediatamente. Ed è evidente che per questo obiettivo è necessario fermare i finanziamenti, gli armamenti e l’invio dei combattenti. E’ necessario lavorare sulla volontà delle grandi potenze di realizzare la pace, per promuovere il dialogo nazionale e il processo di riconciliazione e sostenere ogni azione volta a porre fine allo spargimento del sangue in Siria.
- Levare le sanzioni economiche che hanno recato un danno esclusivamente al popolo. Questo potrà creare i presupposti per il ritorno alla normalità e il ripristino delle operazioni bancarie favorirebbe la riapertura delle fabbriche e delle imprese industriali per poter contrastare la disoccupazione e combattere la povertà.
- Riaprire le ambasciate o qualsiasi altra forma di rappresentanza diplomatica, specialmente nei paesi europei, per poter dare assistenza ai cittadini siriani attualmente all’estero, per instaurare i canali di comunicazione con loro e creare comunità organizzate con l’obiettivo di facilitare il ritorno in patria per chi lo desidera.
- Trasmettere un’immagine realistica nei media. E’ noto che i mass media sono tutti pilotati. Tuttavia, è possibile dare un’immagine realistica degli eventi mettendo un po’ di professionalità. Questo contribuirà a ricostruire la fiducia con l’occidente.
- Italia:
- Aiutare noi siriani a costruire la democrazia che rispetti la nostra cultura e la nostra civiltà. La democrazia non può essere imposta dall’esterno, perché l’imposizione dall’esterno è equiparabile all’odiosa dittatura, all’arroganza, all’invasione ideologica. La democrazia va costruita nel rispetto di ogni società e della sua cultura. L’aiuto che ci può essere fornito per costruire una società democratica è quello di aiutarci a formare una generazione che crede nel dialogo, nella pace e nel rispetto dei diritti umani. Il rispetto di noi e dei diritti del popolo siriano significano sostenerci nella formazione di questa generazione istruita, cosciente, che crede nel lavoro per la propria nazione e non imponendoci un cambiamento dall’esterno violando tutti i nostri diritti.
Probabilmente non esistono altri due paesi con legami storici così profondi come la Siria e l’Italia. La storia ci racconta che numerosi imperatori, papi e grandi uomini che contribuirono alla costruzione della civiltà romana erano siriani d’origine. Partendo da questa storia gloriosa, noi desideriamo avere buoni rapporti con tutti, per contribuire alla costruzione della civiltà e della pace nel mondo, e soprattutto con l’Italia per la quale conserviamo un profondo affetto. Sentiamo che il buon popolo italiano assomiglia tanto al nostro popolo in Siria e non vorremmo mai che possa soffrire come soffriamo noi. Tutto il contrario, vorremmo che il nostro popolo in Siria possa vivere con dignità e prosperità come i suoi cari fratelli italiani".
Fonte qui
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