Il governo brasiliano ha deciso, mediante un decreto presidenziale, di aprire le porte di una gigantesca riserva naturale dell’Amazonia alle imprese minerarie. Questa decisione è “un grave arretramento nella lotta” per proteggere il polmone verde del mondo, ha denunciato un gruppo di attivisti del WWF. “È il maggiore attacco all’Amazonia degli ultimi 50 anni.
Nemmeno la dittatura militare osò tanto”, dichiara ai media locali il senatore ambientalista Randolfe Rodrigues.
Michel Temer ha recentemente autorizzato l’estinzione di una riserva naturale di più di 47 mila chilometri quadrati situati tra gli stati brasiliani del Pará e del Amapá per l’estrazione di oro e di altri minerali nobili. Da 33 anni, l’attività mineraria e commerciale della zona era a carico della Compagnia Brasiliana di Risorse Minerali e delle imprese autorizzate da questa.
La Riserva Nazionale di Rame e Associati (Renca), fu creata nel 1984 durante il regime militare di João Figueiredo. Lì attualmente si sfrutta il rame, ma studi geologici segnalano che c’è oro, manganese, ferro e altri minerali. L’area, ricca di oro e altri minerali, ingloba nove aree protette: il Parco Nazionale Montagne del Tumucumaque, i Boschi Statali del Parú e dell’Amapá, la Riserva Biologica di Maicuru, la Stazione Ecologica del Jari, la Riserva Estrattiva Río Cajari, la Riserva di Sviluppo Sostenibile del Río Iratapuru e le terre indigene Waiãpi e Río Paru d`Este.
Organizzazioni non governative, come il WWF, considerano la misura un arretramento nella protezione dell’Amazonia, “questa decisione mette a rischio nove aree protette, fatto che potrebbe causare impatti irreversibili all’ambiente e ai popoli della regione”. La riserva conta, inoltre, su due territori indigeni, nei quali non è possibile fare attività mineraria, per cui si fa pressione su una regione intatta dell’Amazonia. Quando si apre all’attività mineraria, oltre all’attività formale, si incentivano attività di estrazione illegale, invasione di terre pubbliche, deforestazione e sorgono conflitti sociali con i popoli indigeni” ha dichiarato Mauricio Voivodi, direttore esecutivo del WWF Brasile.
“L’estinzione della riserva naturale può promuove l’invasione di terre e fare pressione affinché le comunità indigene facciano degli accordi con le attività clandestine di minatori illegali”, ha aggiunto Voivodic.
Dopo la pubblicazione del decreto presidenziale dell’estinzione Renca (Riserva Nazionale di Rame e Associati), otto senatori hanno presentato un progetto di legge per bloccarla. “Il decreto presuppone il maggiore attacco all’Amazonia degli ultimi 50 anni. Nemmeno la dittatura militare osò tanto”, ha dichiarato ai media locali, il senatore Randolfe Rodrigues.
Il legislativo sostiene che “l’obiettivo è quello di attrarre investimenti, con la creazione di ricchezza per il paese, di lavoro e di reddito per la società, basato sempre sui precetti della sostenibilità”.
“Oltre allo sfruttamento demografico, alla deforestazione, alla perdita della biodiversità e allo smisurato sfruttamento delle risorse idriche, sorgeranno i conflitti agrari, l’espulsione dei popoli indigeni dai loro territori” aggiungono gli esperti del WWF.
Ricercatori annunciano l’imminente distruzione della conca delle Amazzoni
Da parte loro, dei ricercatori guidati da Edgardo Latrubesse, hanno avvertito in un loro studio chiamato Indice di Vulnerabilità Ambientale delle Dighe (DEVI, nella sua sigla in inglese) che portando a termine l’iniziativa di soddisfare le necessità energetiche mediante 428 dighe idroelettriche si mette a rischio l’Amazonia, modificando il flusso di nutrienti che portano i fiumi, la biologia e anche il clima del luogo.
“I principali fattori di deterioramento degli ecosistemi sono la deforestazione, le alterazioni del flusso dei fiumi, la massiccia perdita della biodiversità e l’erosione del suolo”, segnalano gli esperti.
La dimensione dell’impatto può essere non solo regionale, ma anche a livello dell’emisfero. I valori DEVI più alti (che quantificano la vulnerabilità di un’area su una scala da 0 a 100) si trovano nel fiume Maeira (80 punti), e i fiumi Marañón e Ucayali, rispettivamente di 72 e 61 punti, con 104 e 47 dighe progettate o costruite.
La cosa più allarmante è la conclusione a cui è giunto Edgardo Latrubesse: “La dimensione degli impatti può essere non solo regionale, ma anche a livello dell’emisfero. Se si costruiscono tutte le dighe previste nella conca, i loro effetto cumulativo provocherà un cambiamento nei sedimenti che fluiscono nell’Oceano Atlantico, fatto che potrebbe ostacolare il clima regionale”.
FONTE: Comitato Carlos Fonseca qui
Con informazioni di Telesur e RT in spagnolo
27 agosto 2017
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