sábado, 10 de mayo de 2008

Petrolio,dollaro,sicurezza brasiliana

Intervista a Luís Alberto Moniz Bandeira sulla Bolivia, Cuba e la sicurezza del Brasile

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Le autorità militari brasiliane intendono ampliare e modernizzare l’esercito. Perché il Brasile sente la necessità di avere Forze Armate più grandi e meglio equipaggiate?

Il Brasile, con l’immenso territorio che possiede, con ricchezze minerali, alle quali si aggiunge ora la scoperta di grandi riserve di petrolio, non può rinunciare a possedere Forze Armate meglio equipaggiate. Le ipotesi di guerra esistono e sono sempre oggetto di studio nelle Scuole di comando e negli Stati maggiori di tutte le Forze armate.
La principale ipotesi di guerra delle Forze armate brasiliane è relativa al confronto, con una “potenza tecnologicamente superiore”, in Amazzonia. Adesso, probabilmente, dovrà essere inclusa anche l’ipotesi di guerra per la difesa delle riserve di petrolio sul litorale. A tal fine, è fondamentale la costruzione del sottomarino nucleare, insieme con la riattivazione dell’industria bellica nazionale.

La restaurazione della IV Flotta degli Stati Uniti nell’Atlantico del sud ne impone l’estrema necessità. Il Brasile non può restare disarmato. Gli USA seguitano a finanziare la Colombia, il cui esercito è diventato il più importante e meglio equipaggiato fra quelli sudamericani.
Con una popolazione di 44 milioni di abitanti, la Colombia detiene un contingente militare di circa 208.600 effettivi, mentre il Brasile, con 8,5 milioni di kmq e più di 190 milioni di abitanti, dispone di un contingente di solo 287.870 soldati, e l’Argentina, con 40 milioni di abitanti e un territorio di 2,7 milioni di kmq, conta appena 71.655 effettivi.

La Colombia, con un PIL di 320.4 miliardi di dollari (stima 2007), secondo il metodo della parità del potere di acquisto, destina il 3,8% alle spese militari, mentre il Brasile, il cui PIL è di 1.838 miliardi di dollari (stima 2007), ne impegna appena l’1,5 %, e l’Argentina, con un PIL pari a 523.7 miliardi di dollari, l’1,1 %.
La Colombia, e non il Venezuela, costituisce una eventuale minaccia nella regione, in virtù dell’appoggio che riceve dagli USA. Lo ha dimostrato invadendo il territorio dell’Ecuador.

Ritiene che possano esserci cambiamenti significativi nella politica USA riguardo al Sudamerica, qualora le prossime lezioni nordamericane siano vinte dai Democratici?

Non credo in cambiamenti fondamentalmente significativi negli USA, chiunque sia il futuro presidente, repubblicano o democratico. L’America del Sud è molto importante per il rifornimento energetico degli USA, in particolare ora, con le scoperte degli enormi giacimenti di petrolio nel litorale del Brasile.
Ci troviamo di fronte a due paesi con le maggiori masse territoriali, le maggiori masse demografiche e, malgrado la asimmetria, le maggiori economie dell’emisfero. Tenderanno a mantenere le migliori relazioni, tra gli eventuali disaccordi commerciali e politici.

Il prezzo del petrolio aumenta in tutto il mondo e pregiudica i paesi che sono esclusivamente consumatori, come l’Uruguay. Di chi è la responsabilità di tali aumenti?

Il dollaro è la moneta fiduciaria, con la quale il prezzo del petrolio fino ad oggi è stato determinato. Giacché solo gli USA possono emettere dollari, e lo fanno come meglio desiderano, essi erano anche i proprietari gratuiti del petrolio mondiale, nel senso che potevano acquistarlo con moneta senza un reale controvalore, con semplici pezzi di carta.

Tuttavia, queste continue emissioni, senza un reale controvalore, eseguite per conseguire le necessità del consumo e delle spese per l’apparato bellico e le relative azioni, aumentano sempre di più il deficit fiscale, che coniugandosi a quello commerciale, hanno provocato la svalutazione del dollaro.
Ciò si è riflesso sull’aumento del prezzo del petrolio. Così, la svalutazione di questa divisa, con la quale si fissava la quasi totalità dei contratti commerciali di petrolio, fino al novembre del 2000, erose il potere d’acquisto dei produttori che, per compensare le perdite, incrementarono, inevitabilmente, il prezzo del petrolio.

Ciò si verificò, per la prima volta nel 1971. Il dollaro svalutato provocò un immediato aumento del 5% del prezzo del greggio, con la previsione di altri aumenti al fine di compensare nuove ulteriori svalutazioni.
Alla fine del 1972, l’OPEC fu praticamente autorizzata a effettuare significati aumenti del prezzo del petrolio, per compensare il deprezzamento del dollaro, che perdette quasi il 40% in rapporto al marco tedesco, tra il febbraio e il marzo del 1973. Fu il primo choc del petrolio.

Attualmente la crisi è infinitamente più grave. Saddam Hussein lo percepì nel 2000, e, nei contratti petroliferi, d iniziò a sostituire il dollaro con l’euro. Ciò costituì uno degli elementi dell’intervento degli USA in Iraq.
L’Iran, a metà del 2003, cominciò ad accettare eurodollari come pagamento per le sue esportazioni di petrolio all’Unione Europea (UE) ed ai paesi asiatici. A partire dal maggio 2008, iniziò a firmare contratti con i prezzi fissati soltanto in euro. Questo è uno dei motivi per il quale gli USA desiderano attaccare l’Iran.

Anche la Russia firma contratti con i prezzi fissati in euro. Ci sono anche altri paesi dell’OPEC, tra i quali, il Venezuela, che esaminano la questione di effettuare la vendita di petrolio in cambio di euri. Un cambio completo nel commercio internazionale del petrolio che si basi sull’euro, sarebbe un gran colpo sferrato all’egemonia del dollaro e di conseguenza agli Stati Uniti.

I paesi che acquistano o producono petrolio, cercheranno di convertire in euri i dollari dei propri fondi di riserva, nelle banche centrali europee; la Cina, il Giappone e tutti gli altri paesi, compresi quelli dell’America Latina.
Questo fatto produrrebbe nell’economia degli USA un’inflazione che, secondo alcuni calcoli, sarebbe superiore al 100%, congiuntamente ad un collasso bancario simile a quello del 1929-1930. Con la conseguenza che i fondi stranieri possano essere allontanati dai mercati borsistici degli Stati Uniti.

La caduta del dollaro è irreversibile?

Nel lungo periodo è irreversibile. Tuttavia non si può pensare che il suo declino, che riflette quello degli USA, sarà lineare. Ci saranno congiunture di recupero ed altre di stabilità. Alti e bassi. Nonostante l'eruzione delle crisi periodiche, la tendenza è, ogni volta più profonda, sempre nel senso di caduta.

Gli USA non sono più un sole di prima grandezza, come lo furono dopo la seconda guerra mondiale, tra gli anni ‘50 e ’60. Coloro che non percepiscono che i suoi raggi diminuiscono d’intensità sempre di più, non conoscono la storia.
Il declino dell’impero britannico si è accentuato quando la Gran Bretagna si indebitò a causa delle guerre 1914-1918 e 1939-1945 e divenne dipendente dalle risorse finanziarie degli USA.

Oggi gli USA sono una potenza indebitata. Il suo debito pubblico è salito dai 5.600 miliardi di dollari, nel 2000, ai 9.000 miliardi nel 2007, l’equivalente, più o meno, dei due terzi del PIL, stimato in 13.800 miliardi (2007), secondo il metodo della parità del potere d’acquisto.

Accade che gli USA emettono dollari senza un controvalore effettivo. Con questi dollari acquistano energia, servizi e manufatti dall’Arabia Saudita, dalla Cina, dall’Unione Europa e da altri paesi, e questi paesi, con gli stessi dollari, acquistano i buoni del Tesoro americano. In tal modo finanziano i debiti militari che gli Stati Uniti fanno per mantenere l’industria bellica e consumare la sua produzione nella guerra in Iraq, Afghanistan e in altre regioni del mondo.

Venerdì 2 maggio, il presidente George W. Bush ha chiesto formalmente al Congresso di approvare la spesa di oltre 70 miliardi di dollari per le campagne militari in Iraq e Afghanistan del 2009. Per finanziare le due guerre ci sono altre richieste per spese di 108 miliardi di dollari, attualmente in corso d’approvazione dal Congresso, ora controllato dal Partito democratico.

Il deficit fiscale, incrementato sempre di più a causa delle spese militari, è il più grande della storia degli USA. E’ una bolla che esploderà e minaccerà tutta l’economia mondiale, molto più dell’esplosione della bolla dei prestiti subprime, di cui hanno sofferto recentemente le banche e le istituzioni finanziarie negli USA ed in altri paesi. Questa crisi è solamente un leggero maremoto in confronto allo tsunami che potrà avvenire nell’economia mondiale come conseguenza di un collasso provocato dai deficit gemelli (commerciale e fiscale) sui quali l’economia degli Stati Uniti si sostiene.
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http://www.eurasia-rivista.org/cogit_content/articoli/EkEpFulFkABXdLyxiP.shtml

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