Qualcuno ricorda qualche protesta ufficiale di Parigi, Londra o della Unione europea ai tempi in cui Bush rubò due elezioni consecutive?
Tito Pulsinelli
“Caos in Iran” e “Obama acchiappa una mosca” sono i titoli di prima pagina dei quotidiani di oggi. Le immagini dei video che segnalano, però, mostrano manifestazioni nelle strade di Teheran. Caos in Iran o a Tehran? La capitale è stata animata da due cortei, uno con cartelli in inglese e l’altro in parsi. Il primo composto da studenti, professionisti, classe media capitalina, donne ben truccate e con buona padronanza della lingua inglese. L’altro da uomini barbuti, vestiti non suntuosamente, visibilmente appartenenti ai settori popolari e alle periferie.
La parte colorata di verde ha cominciato a denunciare l’imbroglio elettorale appena chiuse le urne, pretende la ripetizione delle elezioni, brucia veicoli parcheggiati ed assedia commissariati. L’altra, difende le istituzioni e denuncia l’intromissione degli Stati Uniti, Israele, Gran Bretagna e Francia, con finalità scopertamente destabilizzanti. Farebbero salti di gioia se Ahmedinjad andasse a casa, con il "riformista" sarebbero tarallucci e the, forse anche vino.
Qualcuno ricorda qualche protesta ufficiale di Parigi, Londra o della Unione europea ai tempi in cui Bush rubò due elezioni consecutive?
La sincronizzata claque mediatica internazionale è entrata in azione, com'è d’uopo nelle votazioni di certi Paesi poco docili o cedevoli, soprattutto se sono grandi esportatori di petrolio.
Si ha l'impressione che lo sceneggiatore di "Caos in Iran" abbia rimesso mano allo stesso copione già sperimentato a Belgrado, Tblisi, Kiev, e tentato senza successo a Caracas. E' un deja vu. Quando il vincitore non piace, allora l’elezione è stata un volgare imbroglio. E bisogna ripeterla, con le buone o le cattive, altrimenti il potere di fuoco del monopolio mediatico ti infilza allo spiedo dell’indice di gradimento.
Gli studenti di Tehran, fruitori di TV satellitari e Facebook, sanno bene qual'è il loro target: l'opinione pubblica internazionale, quella interna è secondaria
Agitavano mani dipinte di verde, in Ucraina erano arancione, a Caracas bianche. A fiancheggirali -automaticamente- sono sempre le stesse finte-ONG, fondazioni private e pubbliche, NED, editorialisti, commentatori, fino ai Bono, i menestrelli e i saltimbanchi.
Quando spunta fuori Bernard Henry Levi è sicuro che si tratta di una tentata “rivoluzione colorata”. Lui ne è il prezzemolo.
Il potere di fuoco della claque mediatica globale è micidiale. Se n’è accorto persino Berlusconi, che pure è il padrone della italica “Ferriera mediatica”. Quando scendono nell’arena i Times, El País, Le Monde, R. Murdoch, o quando il Financial Times parla delle amicizie femminili di un capo di governo anzichè della sua politica economica…beh... Allora significa che sono in arrivo le “scosse”, per dirla alla D’Alema.
Non è difficile immaginare come la capacità di produzione di “scosse” sia letale per certi Paesi periferici. Non per l’Iran, nè per il Venezuela. Fino a quando la democrazia elettorale sarà basata sulla legge dei numeri, la classe media o le zone bene della capitale non sono mai la maggioranza di un Paese.
Ahmedinajad, nel frattempo, era a Mosca al vertice del Gruppo di Shangai -cooperazione economica e militare eurasiatica- ad incontrarsi con i leader dell'India, della Cina, Pakistan,
Russia e i centro-asiatici. Coincideva con il primo incontro del BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) dove si è parlato di come sostituire il dollaro nel sistema fianziario internazionale. Le nuove aquile non vanno a caccia di mosche.
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