martes, 16 de junio de 2009

"Ley de la Selva": boomerang per Alan García?

P. Hemmerling - Servindi
I fatti di Bagua hanno portato alla rottura verticale del Perù - Sgretolamento della base del partito APRA di Alan García: adios ai sogni di rielezione? - Nonostante la moratoria, nella costa nord sono arrivate le coltivazioni transgeniche...
La “Ley de la Selva”: un boomerang per Alan García?

Sergio Rossa
Negli ultimi mesi abbiamo assistito al duro confronto tra Governo peruviano e popolazioni native della Selva Amazzonica riguardo al complesso di decreti legge approvati dall’esecutivo e conosciuti con il nome di “Ley de la Selva”.

È stato un dialogo tra sordi, giacché non c’era intenzione alcuna da parte del Governo di ritornare sulle decisioni prese. Alle riunioni si succedevano lo sgretolamento della basele riunioni senza arrivare a nessun accordo. L’intenzione occulta era quella di stancare la gente e creare le condizioni per un blitz che avrebbe avuto il plauso della maggioranza della popolazione e dei mezzi di comunicazione.

Così all’inizio di giugno abbiamo potuto assistere a quello che, nelle intenzioni, sarebbe dovuto diventare il pretesto per annientare l’opposizione nativa ai decreti e ristabilire la “legalità”.

Provocazione, si chiama nei manuali di guerra. Una provocazione che ha provocato decine di morti, ma ha permesso di tagliare quella che era considerata, a torto, la testa pensante della protesta, accusato delle nefandezze indotte dal Governo stesso. Poco a poco, però, la malafede del Governo peruviano è venuta a galla.

Ancora una volta ha giocato con la vita di decine di persone per far passare un disegno incostituzionale, antipatriottico e favorevole solo a pochi individui e imprese transnazionali che, con la protezione di trattati imposti dall’alto, pretendono impossessarsi del bacino amazzonico (secondo l’autorevole quotidiano “El Commercio”, ben il 72% della foresta peruviana è stata data in concessione per l’esplorazione e lo sfruttamento di idrocarburi).

Ancora una volta ha utilizzato il suo potere mediatico per mettere una contro l’altra gente dello stesso sangue. Ma questa volta non ha saputo o potuto comprare la coscienza di tutti. Ecco dunque un Governo che si visto subito diminuito dall’uscita di una Ministro per disaccordi più etici che politici (“Alan García trató de restablecer la autoridad en Bagua”).

Ecco la Ministro dell’Interno che non riesce a tacitare la voce dei poliziotti feriti che racconta storie diverse (“historietas noveladas”) da quella ufficiale. Ecco l’intervista concessa dal primo Ministro al più importante quotidiano della capitale, nella quale individua il vero problema di tutti i malanni della nazione: l’opacità dei politici e della politica peruviana.

Ed ecco infine la comunicazione del Presidente che dopo mesi di intransigenza si dice favorevole al dialogo.

Fatto sta che i fatti di Bagua hanno portato alla rottura verticale del Perù: a ovest, lungo la costa, con una decisa maggior concentrazione a Lima, la gente è generalmente favorevole alla politica presidenziale di vendere l’Amazzonia ai privati, considerando i benefici indotti che essa stessa riceverebbe; a est, nelle zone di estrazione delle risorse grezze, la popolazione si è ancor più unita contro l’espropriazione, lo sfruttamento e la distruzione delle risorse naturali.

Su questa frattura si stanno giocando gli equilibri politici che porteranno alle elezioni presidenziali del prossimo anno. Non è un caso che i diversi decreti legislativi al cui complesso ci si riferisce come “Ley de la Selva”, sono stati recentemente sospesi “ad divinis”, ma non abrogati come richiesto dai nativi e proposto da una commissione del Congresso che li ha dichiarati incostituzionali.

Significa che la frattura è aperta e che i giochi non sono finiti. E qui ritorna una domanda ricorrente alla quale non si vuole o non si può dare risposta: lo Stato è davvero dalla parte dei cittadini?

Ma possiamo aggiungere altri quesiti che dovrebbero essere al centro del dibattito etico di qualsiasi nazione: in uno Stato economicamente eterogeneo, relativamente alle fonti e mezzi di produzione e di consumo (e questo è il caso di quasi tutti gli Stati del mondo), è veramente possibile lo sviluppo della democrazia?

È eticamente corretto applicare l’istituto della maggioranza in uno Stato dove la maggioranza vive alle spalle della minoranza? Visto che si parla, a volte a sproposito, di supremazia dell’economia, non sarebbe più giusto dar un maggior peso politico alle zone di produzione della ricchezza del paese?

Ritornando alla politica peruviana, una cosa che riesce difficile da spiegare è la difesa a oltranza dei decreti succitati da parte del presidente Alan García e del suo partito, l’APRA. D’accordo, sono parte integrante dei vari trattati commerciali, primo fra tutti quello con gli Stati Uniti. Ma visto il tiepido disimpegno dell’ambasciatore americano di fronte ai fatti di Bagua, l’ipotesi che la vendita della Selva sia una gentile concessione di Alan García, non appare del tutto peregrina.

Sicché ci troveremmo di fronte alla pura e semplice “arroganza del potere” che dimostrerebbe, se ce ne fosse bisogno, che i politici si allontanano dalla realtà tanto più quanto maggiore è il tempo in cui stazionano al potere.

Se ciò venisse confermato, il Presidente dovrebbe mettersi il cuore in pace e rinunciare ai suoi sogni di rielezione (possibile solo con una legge apposita, ma anche con questa, per nulla scontata). Ma non solo: visto l’oscuro disimpegno dell’APRA nelle questioni tanto di politica nazionale quanto di quella locale e lo sgretolamento della base, sarebbe ipotizzabile un ridimensionamento accentuato del partito e anche una sua scissione.

Un altro elemento che fa riflettere è la poca importanza che viene data al recente nato Ministero dell’Ambiente, creato d’altronde come parte integrante del TLC con gli USA. Il suo rappresentante non è considerato persona con cui è possibile il dialogo semplicemente per la sua scarsa capacità operativa e decisionale.

La moratoria di due anni decisa da questo ministero contro l’entrata dei coltivi transgenici è solo facciata dato che nella costa nord, con il beneplacito del Ministero dell’Agricoltura, si sta già producendo con semi geneticamente modificati delle multinazionali americane (ricordo che l’INIA, Istituto Nacional de Investigación Agraria, già da tempo produce semi di alimenti andini geneticamente modificati, come patate, kiwicha, quinua ecc., ma anche fragole, sic!).

Significa che il Perù continua a vivere come se la questione ambientale non esistesse, come se fosse un problema dei paesi ricchi e non di tutta l’umanità. Ma soprattutto significa che le politiche di sviluppo continuano ad essere gestite da coloro che hanno determinato la crisi globale del 2008, coloro che vedono il profitto fine a sé stesso, coloro che pur di far denaro sono disposti a vivere con la maschera antigas e a bere acqua contaminata

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