L'astensionismo dilaga. 56%
Clara Ferri
Domenica 5 luglio, il Messico ha affrontato le elezioni politiche intermedie, per rinnovare deputati federali e locali, alcuni governatori statali ed altre autorità locali (sindaci e capi delegazionali).
Il grande vincitore, con un 36,62%, è risultato essere il PRI, il Partido Revolucionario Institucional, l’attore politico che ha tradotto in termini moderni l’eredità del vecchio porfiriato e ha mantenuto il potere per più di 70 anni.
Caratterizzato dall’autoritarismo, dal corporativismo e dalla corruzione politica, il PRI è caduto in picchiata nel 2000, quando la società messicana, credendo alle promesse (poi deluse) di cambiamento dell’allora candidato del partito di destra, PAN, Vicente Fox, ha determinato il passaggio “formale” del potere dal partito di centro a quello di destra.
Ma in meno di un sessennio, quello appunto del governo foxista, l’elettorato si è dovuto ricredere constatando che tale cambiamento non si era né si sarebbe mai avverato. Né con Fox né con l’attuale presidente, Felipe Calderón, che è salito al potere nel 2006 con una frode elettorale, nonostante lo scarso margine con il candidato di centrosinistra, Andrés Manuel López Obrador (AMLO), del Partido de la Revolución Democrática.
Ebbene, il PRI recupera terreno: vince vari stati federali (5 per l’esattezza) e municipi e ottiene la maggioranza relativa del parlamento; e anche quella assoluta, se si sommano i suoi voti a quelli del Partito Verde, a cui è alleato.
Una condizione ideale, sia per ostacolare l’operato del già debole governo Calderón, sia per spianare il terreno all’ascesa del suo prossimo candidato presidenziale: il giovane, autoritario e mediatico Enrique Peña Nieto, attuale governatore dello Stato del Messico (stato che circonda il Distretto Federale, cioè Città del Messico).
Il Partido Acción Nacional, PAN, passa, dunque, ad essere la seconda forza politica del paese (27,96%). Partito fortemente classista, rappresenta gli interessi dei ceti dirigenti e industriali, ma anche le aspirazioni della piccola e media borghesia che cerca di avanzare nella scala sociale. Il risultato elettorale è sicuramente influenzato dalla fallita politica del governo Calderón, il cui principale cavallo di battaglia è la lotta frontale al narcotraffico (vera forza economica del paese) attraverso il rafforzamento dell’esercito, in un processo da molti defenito come ‘colombianizzazione del paese’.
Per quanto riguarda tutto il resto della vita politica, economica e sociale, il PAN ha garantito il mantenimento dello status quo, in continuità con le politiche precedenti del partito in apparenza oppositore.
Il PRD è la terza forza del paese (12,22%). Solo nelle elezioni del 2000 si è trovato in seconda posizione, grazie alla popolarità di AMLO, sedicente “presidente legittimo” che vanta ancora oggi un forte appoggio da parte del suo zoccolo duro, il movimento della Resistencia Civil Pacífica, e della corrente Izquierda Unida all’interno del partito.
È il secondo partito sconfitto da queste elezioni e si può dire che lo deve principalmente a se stesso e alle faide interne tra le due principali correnti (Nueva Izquierda di Jesús Ortega, attuale presidente del partito, e Izquierda Unida di Alejandro Encinas).
Dopo le vergognose e abominevoli elezioni interne dell’anno scorso per la presidenza del partito, caratterizzate da una guerra intestina tra le due fazioni e da reciproci frodi e colpi bassi, il PRD ha perso la reputazione di integerrimità nei confronti dei propri sostenitori, ma anche di tutto il resto del paese.
Le divisioni ideologiche e politiche esistevano da molto tempo, ma i diversi personaggi politici non sono stati in grado di superarle e di mantenere una vera unità, non solo fittizia. Come in un matrimonio finito, nessuna delle due parti ha voluto abbandonare il tetto coniugale per non cedere all’altro l’eredità di un partito nato dalla spinta popolare per un’apertura democratica del paese.
AMLO, suo leader morale, dopo una prima fase di apparente unione nel periodo postelettorale, ha espresso la propria preferenza per Izquierda Unida, cercando di influire sul destino del partito, ma Nueva Izquierda (favorita dietro le quinte dai poteri fattuali e dai partiti di centrodestra) ne ha ottenuto la dirigenza.
Allora AMLO ha invitato i suoi sostenitori a votare per i due partiti satellitari della ex coalizione di centrosinistra, Por el bien de todos, delle elezioni precedenti: il Partido del Trabajo (che ha ottenuto il 3,58%) e Convergencia (2.38%).
E verrà presto espulso dal PRD per questo suo “tradimento”. Insieme ad una fetta consistente di elettorato, il PRD –che di ‘democratico’ gli è rimasto solo il nome- ha perso anche la faccia. Il caso più emblematico della spaccatura interna – sottolineata spasmodicamente dai mass media e dagli altri partiti – è quello dell’elezione nella Delegazione[1] di Iztapalapa, la più popolata di tutto il Messico (con un milione e trecentomila elettori).
La candidata iniziale del PRD era Clara Brugada, della corrente Izquierda Unida, ma è stata sostituita poco prima delle elezioni da Silvia Oliva di Nueva Izquierda, imposta direttamente dalla direzione del partito. Le schede elettorali erano addirittura già state stampate e non c’è stato modo di far cambiare idea ai vertici: gli elettori che avessero votato per lei, avrebbero dato il voto alla sua concorrente.
Quindi la Brugada si è accordata con il PT per ottenere i voti del suo candidato e non perdere la possibilità di salire al potere e ce l’ha fatta! Ma la figuraccia per il partito è stata fatale.
La quarta forza politica, ahimé, è il Partido (pseudo) Verde Ecologista de México, PVEM. Unico partito verde al mondo che si situa a destra anziché a sinistra, il Partito Verde è nato nel seno di un clan familiare, i González Torres, probabilmente con l’idea di erodere il voto dei grandi partiti per poi allearsi con loro, ma anche con quella di raccogliere il voto dell’elettorato scontento e qualunquista.
Nel 2000 si allea con il PAN e successivamente con il PRI, data la delusione post-elettorale (quando Fox non mantiene le promesse di campagna di riservare loro incarichi di una certa importanza all’interno del governo). Il PVEM non rappresenta minimamente i deboli movimenti ecologisti messicani ed è stato addirittura espulso dall’Internazionale Verde per ‘incongruenza’ con gli altri membri.
Quest’anno registra un vero e proprio exploit: con una campagna sporca e populistica – basata su proposte come la pena di morte per i sequestratori e la restituzione ai cittadini dei contributi sulla salute da parte dello Stato, al puro stile berlusconiano – il partito passa dal 4,8% al 6,5%.
È probabilmente il punto più doloroso di queste elezioni, anche perché tra le sue fila si annoverano alcuni personaggi delle due principali catene televisive private, Televisa e TV Azteca, due dei principali poteri fattuali del paese.
Segue, poi, con un 3,42% il PANAL, Partido Nueva Alianza, uno squallido partito jolly della detestabile leader vitalizia del sindacato dell’educazione, Elba Esther Gordillo, una pericolosissima burattinaia politica che ha avuto un ruolo fondamentale nella frode elettorale del 2006 e che, attraverso il corporativismo sindacale, riesce a sopravvivere e a tessere alleanze strategiche coi veri protagonisti della politica, il PRI e il PAN.
E, infine, il PSD, Partido Social Demócrata, un partito minoritario di sinistra che, nonostante il grosso lavoro di base e le idee radicali (legalizzazione delle droghe leggere, depenalizzazione dell’aborto, matrimoni omosessuali, equità di genere, ecc.), non è riuscito a convincere l’elettorato di sinistra e a superare lo sbarramento del 2%. D’altra parte, il messicano è un popolo conservatore che difficilmente sceglierà di appoggiare politiche e forze radicali.
Un dato assai importante: in queste elezioni c’è stata una vera e propria campagna a favore dell’annullamento del voto, che si è tradotto in termini percentuali in un 5,2% a livello nazionale e in un 10,83% a Città del Messico (dove la popolazione locale ha una coscienza politica più sviluppata che nel resto del paese), contro il 3,5% del passato.
Iniziata nei social network come una ‘campagna civica’, è stata oggetto di varie analisi che hanno dimostrato come fosse stata orchestrata per favorire il centrodestra: il voto nullo, così come quello in bianco, viene ridistribuito ai vari partiti a seconda delle percentuali ufficiali ottenute e, quindi, in pratica rafforza i partiti maggioritari e toglie potenziali voti ai partiti minori.
Ad ogni modo, questo dato non può essere ignorato dalla classe politica: equivale a una bocciatura in blocco del sistema partitico e a una nuova forma di protesta civica. Si spera che non scemi e non muoia qui, ma che si traduca in una spinta dal basso per l’ottenimento di alcuni diritti civili fondamentali, quali l’introduzione della figura giuridica del referendum e della revoca del mandato ai politici corrotti, la possibilità di candidature indipendenti dai partiti politici, tra le altre proposte.
La guerra politico-mediatica più forte è stata paradossalmente quella dell’IFE (Instituto Federal Electoral, l’ente pubblico incaricato dell’organizzazione delle elezioni) a favore del diritto al voto; questo ente ha cercato in tutti i modi di contrastare l’astensionismo (che ha comunque rappresentato un 55,29%) e il voto nullo: oltre ai metodi tradizionali, quali il bombardamento di spot, cartelloni, annunci, volantini, ecc, l’IFE è riuscito a coinvolgere anche i poteri fattuali (Consejo Coordinador Empresarial, Chiesa Cattolica, mass media) nella propria crociata contro il rifiuto o il disinteresse dei cittadini nei confronti dei partiti politici.
Persino sugli scontrini dei supermercati appariva una pubblicita' per andare a votare. E i suoi dipendenti hanno fatto altrettanto ieri, suonando di porta in porta per “ricordare” ai cittadini “il loro dovere”.
Una buona fetta dell’elettorato ha deciso di prendere alla lettera il proverbio popolare messicano “mejor malo por conocido que bueno por conocer” (cioè, meglio il cattivo in quanto conosciuto che il buono ancora da conoscere) e di tornare al passato più o meno recente.
C’è chi ha fiducia la scadenza cabalistica del bicentenario (dall’Indipendenza, 1810, e dalla Rivoluzione, 1910) e chi ha perso ogni speranza, ma per ora le cose non sembrano destinate a cambiare in terra mexica.
[1] Il Distretto Federale è suddiviso sul piano politico e amministrativo in 16 Delegazioni
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