Bruna Peyrot La campagna elettorale per l’elezione in Brasile (3 ottobre 2010) del nuovo presidente della repubblica, e i nuovi governatori dei 27 stati che compongono questo paese – continente, dovrebbe iniziare ufficialmente il primo luglio prossimo, ma sin dall’autunno scorso le strategie politiche hanno costruito il cammino dei candidati. Oltre a José Serra del socialdemocratico Psdb e già governatore di São Paulo e Ciro Gomes del Psb (Partito socialista), due donne si contendono la prima carica dello stato: Dilma Roussef e Marina Silva. La prima è sostenuta da Lula, di cui è stata prima ministro delle Risorse minerarie ed Energia, poi della Casa Civil (specie di Ministero degli Interni) e dal Pt, il Partido dos trabalhadores. La seconda è stata per quasi sei anni ministro dell’ambiente di Lula, dal quale ha dato le dimissioni nel 2006, sostenuta dal Partido Verde. La disputa elettorale è certo fra i due candidati simboli che aggregano la maggioranza e l’opposizione del paese, fra la coalizione di Lula e quella di Serra che si sono combattute nel corso di quasi un decennio. Lula è diventato un simbolo per il Brasile, al di sopra delle parti, potremmo dire, perché ha saputo interpretare l’identità profonda di un paese che anelava a contare nel mondo. Ma come per tutti i personaggi simbolici, ha difficoltà a lasciare eredi altrettanto carismatici. Dunque, il confronto passerà forse più concretamente su programmi e visioni del futuro per una nazione ricca, anche se i ricchi pochi e le povertà ancora infinite. Lula ha scelto Dilma a succedergli. Mentre un’altra donna della sua storia politica, Marina, questa volta sarà un’avversaria. Sono donne entrambe forgiate in esperienze politiche e umane densissime che, al di là delle percentuali di successo (Dilma è data per ora vincente per poco su Serra e Marina intorno all’8%), stanno portando a visibilità anime brasiliani importanti, non ultimo, una presenza al femminile interessante, priva di sterili ideologismi, aperta al futuro. Sono di origine sociali diversissime, Dilma figlia della classe medio alta straniera che ha avuto successo (il padre dirigente della siderurgica Mannesmann di Belo Horizonte era di origine ungherese). Marina cresciuta in un seringal, villaggio di case palafitte dove abitano i seringueiros che estraggono il caucciù nell’Acre, nel nordovest brasiliano, nel cuore dell’Amazzonia, abitato da diversi gruppi di indios, diventato stato federale solo nel 1962. Per tutte e due la politica è stata ed è una scelta di vita, una passione che le ha unite, anche se oggi su fronti diversi. Per tutte e due la strada non è stata facile. Dilma ha militato nel Colina (Comando de Libertação Nacional) e nella Var (Armada Revolucionária Palmares), formazioni della guerriglia contro la dittatura degli anni sessanta. Fu prigioniera per tre lunghi anni (1970-72) e anche torturata. Marina subì i disagi di un’infanzia povera, in ambienti malsani che le causarono infermità di cui ancor oggi paga le conseguenze. Studiò da pedagogista, come molti in Brasile che non possono permettersi una scuola privata, in istituzioni religiose, tanto che aveva pensato di diventare suora delle Serve di Maria. La lotta contro la dittatura, pur nella sua durezza, ha aperto strade diverse per due donne che potevano avere già il destino segnato, l’una come brava figlia di famiglia, economista e studiosa, l’altra come figlia del popolo, analfabeta e sola nel suo destino di donna. Tutte e due hanno costruito dall’inizio dove si trovavano – Dilma nel Minas Gerais e poi nel Rio Grande do Sul, Marina in Amazzonia – il Pt, quel “partito dei lavoratori” che, scelta la battaglia non violenta, passo passo è arrivato alla guida del Brasile con Lula. Dove sono, dunque, le differenze? Perché non sono rimaste insieme nello stesso partito? I militanti del Pt se lo chiedono ancora oggi, ma non se ne stupiscono. Anzi, sembra quasi di cogliere nei loro commenti un’attenzione curiosa. Qualcuno dice che la presenza di Marina ha tolto al campo elettorale un carattere di troppo unanimismo intorno alla figura sostenuta da Lula. Altri aggiungono che Marina, pur essendo troppo monotematica, sta aprendo una dialettica interessante sulla preservazione dell’ambiente, così fondamentale per il Brasile, dove la natura, le risorse sotterranei e ora anche la scoperta del pre-sal (giacimenti petroliferi costieri) sono fondamentali per il proprio Pil. Infatti, il suo dissenso fondamentale con i ministri del governo Lula con i quali aveva collaborato riguarda il modo di pensare lo sviluppo. Per Marina gli ambientalisti sono nello sviluppo. Per gli altri l’ambientalismo è solo una parte del progetto economico sociale brasiliano. E lo scontro più diretto non poteva essere che con Dilma Rousseff, la madre del Pac 1 e 2 (Plano de Aceleração do Crescimento). I Pac sono un saper fare politico che incrocia la previsione con le ricerca e l’intervento sui territori, grandi piani di investimenti che la ministra della Casa Civil ha discusso girando in lungo e largo per il Brasile con governatori, sindacati, ong, associazioni, movimenti, istituzioni.. tutti insomma. Del primo Pac (primo mandato) sono state realizzate il 40% delle opere e speso il 63% del budget previsto. Il secondo sarà in mano a chi vince la presidenza della repubblica. Per questo Lula ha sostenuto fin dall’inizio Dilma, per continuità e competenza. Oltre alle grandi infrastrutture previste (strade di collegamento fra nord e sud del paese, investimenti per future Olimpiadi e i mondiali di calcio), sono stati lanciati piani come “Luz para todos” e “mi casa, mi vida”. Tuttavia, la sua è una visione istituzionale, di grande capacità di mediazione, pur avendo un carattere focoso. Marina, invece, è focosa nella sua radicalità politica e sull’Amazzonia non viene a patti. Durante il primo governo Lula (2003-2006) di cui è stata ministro dell’ambiente, 24 milioni di ettari “verdi” sono stati considerati riserva ambientale contro i 300mila del 2007. Dilma le chiedeva di accelerare le pratiche per l’esame dei territori in vista dell’attuazione del Pac 1. Marina opponeva resistenza, fedele all’insegnamento del suo maestro Chico Mendes, ucciso nel 1988 da chi voleva impadronirsi senza regole dell’Amazzonia. La questione dell’energia fu un altro punto di frizione fra i ministri brasiliani: Lula, con Dilma, ha inaugurato ad Itabuna nel nordest, nello stato di Bahia, il più grande gasdotto brasiliano, quattro miliardi di dollari e 1387 Km che uniscono ora il sudest sviluppato al nordest povero, che permette di distribuire quasi ovunque il gas. Ogni volta, tuttavia, che si costruiscono grandi opere, come le centrali lungo il rio Madeira in Rondônia, abitato da autoctoni, si crea il problema della loro trasformazione, a volte del loro spostamento, tanto che la modernità che pur porta benessere (luce, lavoro, qualche comodità in più) spesso viene combattuta da chi teme di perdere la propria identità indigena. Certo sono esigenze vere di , diciamo così, entrambe le parti che spesso non trovano conciliazione. Così, possiamo concludere, Dilma e Marina le rappresentano tutte e due in modo serio. Agli elettori e alle lotte sociali sul campo, la risposta a queste scommesse che, come l’Amazzonia coinvolgono il destino di tutto il mondo per il loro impatto ambientale. E su quest’area tanto discusso, possiamo però essere certi che Dilma e Marina sono d’accordo: è uno spazio importante per il mondo, ma di sovranità brasiliana! |
viernes, 30 de abril de 2010
Brasile: Due donne per la presidenza
Nonostante l'alta popolarità Lula lascia - Dilma e Marina si contendono la successione - Lula preferisce Dilma
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