(Come, facendo la fila per guardare da un buco, diamo le spalle alla vita in superficie)
Martin E. Iglesias - Selvas.org
Decine di specialisti, opinionisti, medici e psicologi ci riferiscono che per i trentatrè minatori l’emersione sulla superficie, dopo aver vissuto per 69 giorni a 700 metri sotto la crosta terrestre, potrebbe essere molto dura: l’impatto con la luce solare, i cicli del dormiveglia, gli odori e i sapori, poter riabbracciare i propri cari dopo un’esperienza paragonabile solo alla permanenza prolungata nello spazio, ma involontaria. Molte, infine, le cronache che ci raccontano di come 33 minatori, altrimenti anonimi, siano diventati simbolo del coraggio, oltre che della fortuna, e attori loro malgrado della vittoria della tecnica sulla natura.
Oltre la solidarietà internazionale, la vicinanza del presidente Sebastián Piñera e del ministro delle Miniere Laurence Golborne, onnipresente tra le tende delle famiglie accampate in superficie, sono tante le promesse di sostegno economico offerte ai minatori in caso di sopravvivenza e ovviamente anche alle famiglie dei trentatrè. Uno dei problemi pratici che hanno dovuto affrontare queste ultime, infatti, è stata la mancanza di autorizzazione alla riscossione dello stipendio dei lavoratori. Solitamente il pagamento del mensile è concesso solo direttamente al lavoratore e per questa occasione si è dovuto chiedere una deroga speciale. Oltre al dovuto i 33 coraggiosi hanno avuto centinaia di nuove offerte di lavoro, compensi per interviste ai media e addirittura una sottoscrizione ad personam lanciata da un imprenditore che ha donato circa 10.000 dollari ad ogni minatore chiedendo che altri come lui facciano lo stesso.
Ma se per loro, ironia della sorte, la sciagura è diventata una piccola miniera d’oro, diversa è la realtà per le centinaia di lavoratori impiegati nella stessa miniera di San Josè. Dal giorno del crollo delle gallerie, il 5 agosto, ovviamente i lavori di estrazione si sono interrotti e Alejandro Bohn y Marcelo Kemeny, i proprietari della società San Esteban hanno praticamente annunciato la bancarotta dell’impresa.
Economia mineraria.
Il Cile è il primo produttore mondiale di rame, con il record di un terzo di tutta l’estrazione del globo, e con oltre 800 mila addetti nel settore è la prima voce del prodotto interno lordo nazionale comprendendo anche gli altri metalli. I contratti salariali e d’ingaggio sono spesso al di fuori delle regole stabilite e la precarietà lavorativa è molto alta: si lavora a “progetto” e una volta esaurita la “vena”: tutti a casa. La San Esteban, inoltre, non è certo nuova ad incidenti e denunce da parte di lavoratori per mancanza di sicurezza: morti e incidenti gravi hanno funestato la gestione dei due imprenditori, e anche in questa occasione le verifiche a posteriori dovranno accertare le responsabilità della società. Nonostante questo caso sia finito davanti le telecamere di tutto il mondo, rimane il fatto che per verificare la messa in sicurezza delle migliaia di miniere il Servizio nazionale di Geologia del Cile dispone di poche unità di ispettori atti a tale controllo e da quando il rame è schizzato al massimo del suo valore in tutte le borse mondiali, l’imperativo è stato: aprire o riaprire le miniere ad ogni costo.
A prescindere dalla chiarezza sugli eventi accaduti, nel frattempo la miniera San Josè ovviamente è chiusa e 250 lavoratori su circa 300, hanno già ricevuto la lettera di licenziamento e come viene sottolineato in Cile, spesso dietro lo stipendio di un singolo minatore ci sono almeno tre famiglie da mantenere. Senza questo provvedimento esplicito, per assurdo, un minatore si trova costretto a rimanere fermo e sotto ingaggio, senza la possibilità di essere assunto da altre compagnie. Un intermediario incaricato per l’occasione dal governo è riuscito, in questo caso, a ottenere che gli stipendi di agosto e settembre dei minatori possano essere rifondati, ma il destino di questi lavoratori comunque è compromesso.
Sorge spontaneo chiedersi se quando il trentatreesimo minatore toccherà la superficie terrestre, le telecamere di tutto il mondo interromperanno le trasmissioni o saranno disposte a cambiare inquadratura: dal buco vuoto alla lunga fila formata di 300 lavoratori che aspettano il loro turno per entrare nel buco e tornare nelle viscere di San Josè.
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