domingo, 6 de noviembre de 2011

Il Venezuela, una lezione per l’occidente in crisi

Il vicolo cieco europeo - Venezuela  specchio di quello che sta per accadere in Grecia, in Italia, in Europa - Come divincolarsi dalle grinfie del FMI - La rivoluzione pacifica di Hugo Chávez
Attilio Folliero, Cecilia Laya attiliofolliero.wordpress.com
Caracas, 4/11/2011 - Dal 14 febbraio 2011 il Venezuela è ufficialmente il paese con la maggiore riserva petrolifera accertata del mondo, con 296,5 miliardi di barili. Quel giorno sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale del Venezuela, (n. 39.615) i risultati delle indagini condotti, per anni, da un gruppo di società internazionali chiamate ad accertare le effettive riserve petrolifere del Venezuela.

Il Venezuela, un paese ricco di risorse
Il Venezuela non possiede solo petrolio, ma anche gas, oro, coltan e numerose altre materia prime. Come nella maggior parte dei paesi del mondo, anche la legislazione venezuelana riserva allo stato la proprietà di tutto ciò che esiste nel sottosuolo, potendo affidare lo sfruttamento di queste risorse ai privati, che in cambio di questa concessione pagano allo stato delle percentuali (royalities).


Per decenni le grandi multinazionali del petrolio, dell’oro e degli altri settori hanno operato in Venezuela come se le risorse fossero di loro proprietà, pagando allo stato cifre irrisorie. Tutto ciò è stato possibile perchè i governi di turno che si sono succeduti in Venezuela fin dall’inizio del XX secolo, con poche eccezioni, erano dei burattini nelle mani delle stesse multinazionali, ovvero governi imposti dalle stesse multinazionali; questi governi in cambio del potere, che esercitavano spesso in maniera dittatoriale riservavano alle multinazionali il diritto di sfruttamento delle risorse del paese.

Questi governi, quando non erano delle dittature, ma assumevano la parvenza di una democracia, come nel caso del quarantennio della IV Republica (1961-1998) erano nei fatti delle dittature ed agivano indisturbati come spietate dittature, in cui era presente ogni sorta di violazione umana (stragi, persecuzioni, sparizioni, torture, arresti indiscriminati ed assassinato degli avversari politci erano all’ordine del giorno) grazie all’appoggio che ricevevano dagli Stati Uniti e dalle altre potenze interessate alle risorse del Venezuela.


I pochi governi, le eccezioni di cui sopra, che hanno cercato di ribellarsi a questo stato di fatto sono stati immediatamente fatti fuori; è il caso di Cipriano Castro vittima di un colpo di stato da parte di Juan Vicente Gomez o Carlos Delgado Chalbaud, ucciso dopo aver preso il potere mediante un colpo di stato.
Ovviamente, mentre le grandi multinazionali e le oligarchie che dirigevano il paese si arricchivano, la maggioranza del popolo si impoveriva.


Negli ultimi decenni del XX secolo le grandi multinazionali non contente di poter sfruttare le risorse del Venezuela, pagando percentuali irrisorie (dell’ordine dell’1%) aspirano al pieno possesso. La storia del Venezuela ed in generale dell’America Latina, può essere vista come uno specchio di quello che sta per accadere in Grecia, in Italia, in Europa. Tutto quello che è successo in Venezuela si sta replicando in Europa; l’unica cosa che potrà cambiare sarà l’intensità con cui si daranno gli avvenimenti. Di qui l’enorme importanza di conoscere la storia e gli avvenimenti del Venezuela, tra i quali spicca la questione dell’oro venezuelano.


Comprendere Il debito pubblico
Le grandi multinazionali come avrebbero mai potuto impossessarsi non solo di fatto, ma anche legalmente delle grandi risorse del Venezuela? Semplice: attraverso il processo di privatizzazione. Pe poter procedere alla privatizazione delle risorse del paese e delle grandi imprese statali era però necesario trovare una scusa. E la scusa arriva dalla presenza di un enorme debito pubblico.


Il debito pubblico non è qualcosa che nasce spontaneo, ma si crea a proposito. Invitiamo a tal fine a leggere il capitolo XXIV de “Il capitale” di Carlo Marx.
Una volta creato il debito pubblico e diventato talmente alto, praticamente impagabile, il governo del paese altamente indebitato deve procedere alla vendita delle risorse del paese o meglio svenderle obbligatoriamente a prezzi stracciati (de galina flaca, per dirla alla venezuelana).


Il debito pubblico ha una duplice funzione al servizio del capitale. In Italia, ad esempio, nessun privato, neppure il più ricco e potente, avrebbe mai potuto creare la capillare infrastruttura ferroviaria di migliaia di chilometri che caratterizza le Ferrovie dello Stato, o l’infrastruttura telefonica della Telecom, due grandi imprese che in mano privata possono assicurare profitti enormi. Ci riesce lo stato, proprio grazie alla possibilità di creare debito pubblico, quindi costruendo queste grandi imprese attraendo i capitali necessari.


Una volta costruite queste grandi imprese, il privato riesce ad impossessarsene attraverso due stratagemmi: da un lato si affida la gestione di queste grandi imprese a “manager di fiducia del grande capitale” che portano queste imprese al bordo del fallimento, facendole apparire come imprese che non danno alcun utile allo stato e che sarebbe meglio liberarsene; insomma si creano “carrozzoni” come l’IRI, in Italia o la PDVSA e la CANTV durante la IV Repubblica in Venezuela.


Per creare carrozzoni, imprese che danno solo perdite non è difficile, essendo sufficiente, ad esempio, aumentare spropositatamente il numero degli addetti; in questo modo i gestori, nominati dai politici di turno, con l’assunzione indiscriminata, oltre a creare clienterismo político che pemette di conservarli nel potere (dato che gli assunti li appoggeranno nelle future elezioni), contribuiscono a creare imprese perennemente in perdita, i cui bilanci annualmente vengono ripianati dallo stato, contribuendo anche ad aumentare il debito pubblico; dall’altro lato la classe politica al potere fa di tutto per far crescere il debito pubblico.


Una volta che il debito pubblico ha raggiunto livelli tali, in cui i soli interessi sul debito assorbono gran parte del bilancio, lo stato è costretto a vendere i propri beni, o meglio a svendere i propri “carrozzoni”, che apparendo appunto come imprese che non danno utili debbono necessariamente essere vendute a prezzi decisamente inferiori.
Questa storia, che si è compiuta pienamente in America Latina e in Venezuela si sta ripetendo in Europa.


La stagione delle privatizzazioni in Venezuela, in Italia e in Europa
Il Venezuela paese ricco di risorse – come abbiamo visto – grazie all’azione dei politici di turno, è costretto ad indebitarsi con il Fondo Monetario Internazionale ed è spinto a farlo precisamente per poter avere la scusa per procedere alle privatizzazioni, ovvero procedere alla svendita delle grandi imprese dello stato, tra le quali la più importante è PDVSA, la statale petrolífera.

Da un lato, dunque, i politici al governo in Venezuela indebitano il paese, dall’altro lato i gestori delle imprese pubbliche, nominati dalla stessa oligarchia che gestisce il paese, si incaricano di farle apparire come dei “carrozzoni” di cui è meglio liberrasi. Una volta che il debito ha raggiunto livelli impagabili, i governi di turno procedono alla privatizzazione delle grandi imprese come la CANTV, SIDOR, VIASA ed altre importanti imprese pubbliche venezuelane; ovviamente si avvia anche il processo di privatizzazione di PDVSA, la più importante di tutte.


Fin qua, la storia italiana procede sostanzialmente come quella che ha vissuto il Venezuela. In Italia si è già superata la fase della creazione artificiale del debito pubblico, quindi si sta procedendo alla svendita degli attivi. Lo stato italiano possiede grandi imprese o quote sostanziali di imprese già privatizzate: ENI, ENEL, Finmeccanica, Ferrovie, Poste, imprese municipalizzate dell’acqua, dell’energia, dei rifuti, dei trasporti; tutte imprese molto appettibili dal grande capitale internazionale. A queste ricchezze si aggiunge un’altra, che noi abbiamo indicato come il vero obiettivo primario dell’attacco all’Italia (1), ovvero il suo oro. L’Italia ha riserve auree per 2.451,80 tonnellate ed è il paese con la terza maggior reserva riserva di oro al mondo, dopo USA e Germania.


I governi che si alterneranno adesso in Italia, con la scusa della necessità di far fronte all’ingente debito pubblico, procederanno alla svendita di tutti gli attivi del paese. Lo stesso sta succedendo in molti paesi dell’Unione Europea, dalla Grecia, alla Spagna, al Portogallo, a Cipro, all’Irlanda.

Bisogna aggiungere che la crescita del debito pubblico è stata voluta anche dalla Unione Europea e dal Banco Centrale Europeo (BCE); a capo delle istituzioni europee si sono alternati i rappresentanti del grande capitale internazionale; ad esempio, alla testa del BCE è stato recentemente nominato proprio l’italiano Mario Draghi, uomo Goldman Sachs, già a capo della Banca d’Italia e principale artefice, assieme a Romano Prodi, Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi della prima ondata di privatizzazioni in Italia.


L’Unione Europea avendo imposto non la regola del pareggio del bilancio, ma la possibilità di sforare del 3% all’anno, ha creato i presupposti per l’aumento del debito pubblico; infatti in dieci anni, gli Stati nella più ottimistica delle ipotesi hanno accumulato debiti equivalenti al 30%. Inoltre, molti stati non avendo ritenuto tale regola come tassativa sono andati anche oltre: l’Italia, in alcuni anni, ha sforato il 5%, la Grecia il 10% ed oltre. Ovviamente le istituzioni europee non potevano non sapere, ma questo importava poco, perchè in fin dei conti lo scopo era l’indebitamento dei paesi.


Quali saranno le conseguenze?
Le conseguenze le possiamo vedere studiando la storia dell’America Latina ed in particolare del Venezuela.
Una volta ottenuti i prestiti, il Venezuela è stato costretto ad applicare una rigida ricetta imposta dai creditori, ovvero dal FMI. La ricetta oltre alla privatizzazione delle imprese statali, prevedeva forti tagli alla spesa pubblica, incremento delle tasse e di tutte le imposte, liberalizzazione ed incremento delle tariffe dei servizi pubblici, anche di quelli esssenziali, incremento dell’età pensionabile, licenziamento e riduzione del pubblico impiego, riduzione di salari e pensioni.

La riduzione dei salari e delle pensioni arrivò ad essere dell’80%/90%. In realtà l’operazione fu molto più subdola che il semplice taglio netto, dato che si decise per il blocco degli stipendi e delle pensioni; quando una società è altamente inflazionata, come quella venezuelana, con tassi annui fra l’80% ed il 100%, bloccare i salari per vari anni di seguito ha determinato di fatto una svalutazione dei salari e delle pensioni fino al 90%.


Le conseguenze sul piano sociale della ricetta del Fondo Monetario Internazionale sono sotto gli occhi di tutti e basta appunto analizzare la storia dell’America Latina, dall’Argentina, alla Bolivia, all’Ecuador, al Venezuela, senza dimenticare il Brasile e tutti gli altri paesi del continente americano. In ognuno, le conseguenze sono state le stesse, anche se l’intensità è stata differente: la maggioranza della popolazione cade nella miseria ed inevitabilemente esplode; le esplosioni sociali portano alla repressione, ovviamente.


In Venezuela l’esplosione sociale arriva il 27 febbraio del 1989, quando la miseria e la fame in cui era precipitata la maggioranza della popolazione costringono, tra l’altro, all’assalto dei negozi per poter mangiare. La reazione del potere fu brutale, disumana: la repressione condotta dalla polizia e dall’esercito, il cui Ministro della Difesa, di origine italiana, Italo del Valle Alliegri, solo in questi ultimi mesi è stato inciminato per violazione dei diritti umani, in due giorni provoca migliaia di morti; il numero non è mai stato accertato.


In questi mesi di crisi, stiamo assistendo all’applicazione della stessa ricetta in Grecia e negli altri stati europei, Italia compresa. Queste misure condurranno inevitabilmente all’impoverimento di grosse fasce della popolazione e conseguentemente alle esplosioni sociali ed alla inevitabile repressione.


Trattandosi di popoli, gli europei, che hanno conosciuto un altro livello di vita, è pensabile che difficilmente accetteranno di tornare alla miseria di un tempo e quindi esploderanno in una maniera ancora più virulenta e pensiamo che la situazione possa sfociare in dittatura; dato che la repressione non si addice alla democrazia, la necessità di apllicare una forte repressione potrebbe costringere i detentori del potere ad imboccare la strade della dittatura.

La cessione dell’oro ed il fallimento del settore finanziario in Venezuela
A questo punto è necessario parlare di una vicenda molto particolare che ha riguardato il Venezuela e che accomuna ancora di più la attuale situazione italiana al paese caraibico. Abbiamo visto che l’Italia possiede una enorme quantità di oro, sotto forma di riserva internazionale, ben 2.451,80 tonnellate. Tra i grandi furti subiti dal Venezuela, ai tempi della IV Repubblica, vi fu proprio quello dell’oro.


L’azione di indebitamento del paese, in Venezuela fu portata avanti dai governi di Jaime Lusichi (1984-1989) e di Carlos Andres Perez (1989-1993), i quali non solo indebitarono il paese con il Fondo Monetario Internazionale, ma impegnarono anche tutto l’oro dello stato; infatti, per poter ottenere i prestiti, non solod ebbono applicare una rigida ricetta, ma sono anche costretti a dare in garanzia 211 tonnellate di oro. Questa enorme quantità di oro, consegnata a garanzia dei prestiti, viene inviata e conservata in banche di differenti paesi del mondo: il 59,9% in Svizzera, il 17,9% in Inghilterra, l’11,3% negli Stati Uniti, il 6,4% in Francia; il resto in altri paesi.


Anche in Italia, esattamente come nella Venezuela degli anni ottanta e novanta, c’è chi parla della necessità di impegnare l’oro (nota 1).
Come abbiamo visto la politica neoliberale dei governi venezuelani conduce all’indebitamento, quindi alle privatizzazioni, alla diffusione della miseria, alle esplosioni sociali ed alla conseguente repressione. La situazione economica del Venezuela, dopo la brutale repressione del 27 febbraio 1989, continua a peggiorare, fino alla crisi del settore finanziario. Il fallimento di oltre la metà delle istituzioni finanziarie del paese (banche, assicurazioni e finanziarie in genere) ariva nel 1994. E’ questo un altro elemento di profonda similitudine con la attuale crisi europea ed italiana.


Oggi, la maggior parte delle imprese del settore finanziario italiano (banche e assicurazioni) è in profonda crisi ed al bordo del fallimento, con un svalutazione enorme rispetto al 09/10/2007 e con un forte indebitamento.


Nella tabella riportiamo i dati delle principali istituzioni finanziarie italiane e di alcune europee e statunitensi. Si nota la forte svalutazione di molte imprese (per alcune superiore al 90%) ed il forte indebitamento. La situazione non è molto differente per le multinazionali europee e statunitensi prese in considerazione.



La crisi del Venezuela e la rivoluzione pacifica di Hugo Chávez

La forte crisi del Venezuela, con il pacchettazzo neoliberale, le principali imprese privatizzate e l’impresa petrolífera al bordo del fallimento ed in via di privatizazione, sfocia dunque nella rivolta popolare del 27 febbraio 1989 che prende il nome di Caracazo, repressa dai militari. Il malcontento, però serpeggia anche tra le forze militari, che finisce per trasformarsi in aperta ribellione contro il governo dalla facciata democratica, ma profundamente dittatoriale nei fatti.

Il 4 di febbraio del 1992 gruppi di militari al comando di Hugo Chávez si ribellano, tentando di spodestare il “tiranno” Carlos Andres Perez. La ribellione fallisce ed i militari ribelli finiscono in carcere. Hugo Chávez, però, entra a pieno titolo nelle simpatie del popolo, essendo la prima volta che un militare agisce in favore dei poveri e cerca di rovesciare il governo per vendicare la repressione del 27 febbraio (Caracazo). Una frase in particolare, pronunciata da Chávez mentre è portato in carcere e trasmessa da tutte le televisioni venezuelane, lo rende famoso e popolare: “Il nostro tentativo non è riuscito, per adesso … “; una frase che arriva al popolo come segnale di speranza per il futuro. Por ahora, per adesso è andata cosi, per adesso abbiamo fallito, ma ci saranno altre opportunità. Automaticamente nell’immaginario collettivo, Hugo Chávez diventa il punto di riferimento per futuri cambiamenti e la speranza di un intero popolo.

Il 27 di novembre dello stesso anno si ha una nuova ribellione militare; anche questa non ottiene il successo ed i militari finiscono in carcere. Le ribellioni del popolo e dei militari, anche se falliscono, stanno a indicare che la crisi del Venezuela è destinata a sfociare in una rivoluzione.

La crisi economica dopo aver travolto anche il sistema bancario, che – come abbiamo visto – porta al fallimento di oltre la metà delle imrpese del settore, finisce per travolgere l’intero sistema político.
Hugo Chávez, dopo aver passato due anni di carcere viene indultato dal neo presidente, Rafael Caldera, che in pratica è stato eletto in virtù della sua promessa elettorale di liberare i militari ribelli. Mantiene la promessa, Chavez esce dal carcere fonda un movimento político ed alla successiva elezione, nel 1998, si presenta come candidato con un programa totalmente rivoluzionario.

Viene eletto ed inizia quel proceso di trasformazione della società che porterà il Venezuela lontano dal neoliberismo ed alla rinazionalizzazione di tutte le imprese strategiche precedentemente privatizzate (banche, telefonía, imprese minerarie); ovviamente la principale impresa del paese, la statale PDVSA, che durante la IV Repubblica non dava utili e stava per essere privatizzata si riprende e comincia a fornire grandi utili al paese.

Tra le varie azioni portate in porto dal governo di Hugo Chávez è quella di aver pagato tutti i debiti del paese, chiudendo definitivamente con il Fondo Monetario Internazionale. Rimane aperto ancora un contenzioso con le grandi banche internazionali. Il governo ha ormai pagato tutti i debiti, ma le 211 tonnellate di oro date in garanzia al FMI, sono ancora in mano ai banchieri internazionali. Pertanto, recentemente il governo ha chiesto alle banche presso cui è custodito l’oro venezuelano di restituirlo.

L’oro è un prodotto altamente strategico e con il possibile fallimento dell’Euro ed il possibile tracollo del dollaro, l’oro avrà un ruolo sempre più importante. In virtù della crescente importanza che assumerà l’oro, il governo venezuela ad agosto ha annunciato anche la nazionalizzazione di tutte le attività connesse all’estrazione dell’oro. Dicevamo all’inizio di questo nostro lavoro, che il Venezuela è un paese ricco di risorse, tra le quali appunto, abbonda l’oro.

Il Venezuela, oggi non è tra i grandi produttori di oro, ruolo che vede al primo posto la Cina seguita dal Sudafrica, eppure è uno dei paesi con la maggiore presenza di questo minerale; è sufficiente considerare che in Venezuela si trova una delle miniere d’oro più grandi del mondo: “Las Cristinas” con riserve d’oro stimate per oltre 500 tonnellate.

Fino ad ora, le attività connesse all’estrazione dell’oro erano affidate in concessione ai privati, in particolare alle grandi multinazionali del settore. In base alle attuali leggi, le multinazionali erano obbligate a vendere al Banco Centrale del Venezuela la metà dell’oro estratto, mentre l’altra metà rimaneva proprietà dell’impresa esrattrice. Il Governo, ritenendo che l’oro assumerà un ruolo strategico crescente ha deciso di nazionalizzare anche le attività di estrazione e gestirle direttamente al fine di poter conservare tutto l’oro estratto.

In Italia, invece i rappresentati del partito che molto presto subentrerà all’attuale moribondo governo di Silvio Berlusconi, pensano – come annunciano pubblicamente in una lettera al Sole24Ore – di utilizzare le ingenti riserve aurifere italiane come garanzia per ottenere europrestiti, ossia pensano di continuare ad attuare fedelmente il programma intrapreso dai governi della IV repubblica in Venezuela.

E’ evidente che la storica lezione dell’America Latina ed in particolare del Venezuela, non ha insegnato assolutamente niente ai politici italiani ed europei. Inevitabilmente, la strada intrapresa dall’Europa e dai suoi politici, tutti burattini al servicio del grande capitale, esattamente come era in Venezuela, condurrà alla miseria degli europei ed alla inevitabile esplosione sociale, con la inevitabile repressione; le esplosioni sociali potrebbero convincere – e lo ripetiamo – i detentori del potere ad intraprendere la strada della dittatura.

In conclusione, la lezione del Venezuela ci insegna che le attuali politiche neoliberali condurranno alla miseria ed alle esplosioni sociali; quello che non possiamo prevedere è se la reazione del popolo sfocerà in una rivoluzione, in un grande cambiamento, o porterà ad una feroce dittatura.

(1) Vedasi nostro articolo: “Avevamo visto giusto: vanno all’attacco dell’oro dell’Italia”, Url http://attiliofolliero.wordpress.com/2011/08/30/avevamo-visto-giusto-vanno-all%E2%80%99attacco-dell%E2%80%99oro-dell%E2%80%99italia/


(*) Attilio Folliero è politólogo italiano residente a Caracas, professore contrattato presso la la facoltà di Scienze delle Comunicazioni (Escuela de Comunicación Social) dell’Università “Centrale del Venezuela” di Caracas; Cecilia Laya è una economista venezuelana, funzionario pubblico presso l’Università “Simon Bolivar” di Caracas

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