Siccome questo schema destabilizzante può essere applicato a tutto il mondo, e non solo contro gli interessi della Russia, ho voluto condividere con
tutti voi alcune delle mie ultime scoperte, nella speranza che voi e le vostre nazioni possiate riconoscere la minaccia che esso rappresenta e prepararvi al meglio a difendere voi stessi e i vostri alleati.

Comincerò parlandovi della militarizzazione strategica delle Rivoluzioni Colorate e poi spiegherò la loro prevista applicazione geopolitica nella destabilizzazione di ciascuna delle nazioni BRICS e dei loro alleati regionali. Dopodichè sarò più che felice di rispondere a tutte le domande o approfondire determinati argomenti con chi ne fosse interessato.

Per iniziare, la realtà delle Rivoluzioni Colorate potrebbe non essere quella che molti di voi pensano, ed è necessario riformulare il concetto, in modo che tutti ci si possa intendere. Non sono manifestazioni sociali spontanee, come le dipingono i media mainstream occidentali, ma piuttosto dei piani strategico-militari per la destabilizzazione di un’area-bersaglio geopolitica. Ne parlo più diffusamente nel mio libro in uscita «Guerre Ibride», che sarà liberamente disponibile in cartaceo o sul Web a cura dell’Università Russa per l’Amicizia dei Popoli, ma ecco in breve come funzionano. 

Gruppi di rivoltosi pre-istruiti, una combinazione di elementi stranieri e locali della cosiddetta «opposizione», anche senza nessuna affiliazione ufficiale a partiti politici, prendono il controllo di manifestazioni autorizzate (oppure creano le condizioni per poterne tenere una loro) e poi provocano le forze governative per indurle a rispondere con la forza. Lo scopo è quello di delegittimare il governo in carica sia all’interno che all’estero ed indebolirlo fino al punto dove un attacco di guerriglia urbana è sufficiente a farlo cadere. 

 Xinjiang_map
Anche se non si riesce ad ottenere la caduta del governo, la destabilizzazione risultante si espande attraverso la regione e crea un ambiente strategicamente favorevole alla politica estera degli Stati Uniti, come il pretesto per un dispiegamento di truppe nella regione. Ci sono anche scenari dove (queste rivoluzioni) possono essere usate per creare un movimento secessionista all’interno dello stato preso di mira, in questo caso esse vengono tagliate su misura per determinati gruppi etnici, religiosi o regionali in modo da dar loro una sorta di «legittimazione».

La cosa è un poco più complessa, ma questo è il nocciolo della questione. Sottolineerò adesso gli aspetti geopolitici della strategia delle Rivoluzioni Colorate ai danni dei BRICS. Quello che bisogna tenere a mente è che le Rivoluzioni Colorate non sono spontanee, ma sono movimenti di destabilizzazione appositamente costruiti per ottenere concreti obbiettivi geopolitici. 

Incominciamo dalla Russia. Ho identificato un qualcosa che ho chiamato l'”Arco colorato». Si estende dall’Ungheria fino al Khirghizistan, è una serie ininterrotta di stati nei quali la destabilizzazione politica o il rovesciamento illegale del governo potrebbe compromettere seriamente gli interessi e la sicurezza esterna della Russia. Ungheria, Serbia, Macedonia e Grecia sono prese di mira per la loro possibile cooperazione con la Russia nel campo dei gasdotti, mentre Turchia ed Iran sono nel mirino degli Stati Uniti perchè qui dei nuovi governi potrebbero in teoria diventare anti-russi e spostare le loro sfere di interesse a nord, verso le zone di tradizionale influenza russa.

 https://mathematicswithmso.wikispaces.com/file/view/750x750_asia_m.jpg/64277288/750x750_asia_m.jpg

Uno scontro di grande portata fra Russia, Turchia o Iran, o almeno una competizione non amichevole, andrebbe definitivamente a beneficio degli Stati Uniti. Infine, disordini in Armenia, Turkmeninstan, Uzbekistan e Khirghizistan, probabilmente porterebbero a guerre civili o di confine, in cui potrebbe rimanere coinvolta la Russia. Ho tratteggiato gli scenari più probabili per ciascuna di queste possibilità e potremo discuterne dopo se qualcuno fosse interessato. 

Adesso spostiamoci alla Cina, che è minacciata da Rivoluzioni Colorate interne ed esterne. Quelle all’interno della nazione sono ad Hong Kong, nello Xinjiang e nel Tibet ed è sempre stata una delle maggiori priorità degli Stati Uniti il coordinamento di queste azioni di destabilizzazione, in modo che scoppiassero tutte simultaneamente, mettendo Pechino nelle condizioni di fare un passo falso. Uno dei miei interessi di ricerca attuali è verificare se un tale scenario potrebbe verificarsi in qualche zona della Mongolia Interna, dopo una Rivoluzione Colorata Mongola. 

Mappa_Politica_Asia.jpg
Sto anche esplorando la possibilità di una destabilizzazione dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico NdT), specialmente della Birmania, da dove potrebbe estendersi alla provincia (cinese) dello Yunnan. Questo mi consente di parlare dell’altro rischio esterno per la Cina legato alle Rivoluzioni Colorate. Se il Khirghizistan sprofondasse nel caos, tutta la nazione o anche solo la regione a sud, potrebbe diventare una base per i terroristi Uiguri. Un cambio illegale di regime in Mongolia o la creazione di entità di fatto indipendenti in Birmania potrebbe diffondere il malcontento e creare opportunità di sviluppo per la politica estera statunitense e contemporaneamente di contenimento per la Cina.
Passando all’India, qui non ci sono in realtà rischi di Rivoluzioni Colorate esterne, questo a causa della geografia politica che la circonda. Cambi illegali di regime nell’area in realtà non muterebbero la posizione attuale dell’India nel contesto regionale, così come non ne influenzerebbero la stabilità interna. Una Rivoluzione Colorata in Pakistan, anche se altamente improbabile, potrebbe aumentare le tensioni reciproche, se la nazione dovesse sprofondare nel caos. Per l’India, comunque, il vero rischio di Rivoluzioni Colorate è al proprio interno. Sebbene disordini pianificati a tavolino siano certamente possibili nelle città maggiori, essi sarebbero molto più devastanti negli stati del nord-est, detti anche «Sette Sorelle». Se queste organizzazioni si presentassero come movimenti «pacifici, autonomisti, su base etnica», potrebbero allora in teoria servire da polo di attrazione per certi segmenti della popolazione, specialmente i giovani. 

Un’escalation della guerra civile in Birmania potrebbe aumentare questo rischio. Gli Stati Uniti potrebbero inserirsi in questo scenario, che sto attualmente studiando, per punire l’India a causa delle sue aperture multipolari verso la Russia e per aver voluto affermare il suo ruolo di polo di civiltà al di fuori del controllo di Washington. Questa regione è la più vulnerabile alla destabilizzazione esterna, così, se gli Stati Uniti decidessero di sviluppare questa strategia contro l’India, sono sicuro che essi partirebbero da qui.

http://images.treccani.it/enc/media/share/images/orig//system/galleries/Atlante_Geopolitico_2013/mappa_fig_vol1_004880_004.jpg
Diamo ora uno sguardo al Sud Africa. Il modo migliore per destabilizzare la nazione sarebbe un crollo dell’ordine costituito nello Zimbabwe, che potrebbe essere facilmente ottenuto con una Rivoluzione Colorata. Abbiamo già visto come questo paese sia stato in grado di superare una difficile situazione economica, per cui una Rivoluzione Colorata che cercasse di appoggiarsi a questi pretesti, avrebbe scarse possibilità di far scendere la gente nelle strade. Un evento di questo genere è molto più facile che possa essere scatenato dalla morte di Robert Mugabe.

Naturalmente esiste anche la minaccia strategica per il Sud Africa di Rivoluzioni Colorate in Lesotho o nello Swaziland, dal momento che esse potrebbero portare queste due nazioni ad un tale livello di destabilizzazione, violenza e movimento di profughi da forzare Pretoria ad un intervento militare. Parlando dei rischi che il Sud Africa potrebbe correre a causa di Rivoluzioni Colorate, non dobbiamo dimenticare il Mozambico

 https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/4/4b/Mapa_do_Brasil_-_1922.jpg
Il paese è un potenziale fornitore di idrocarburi al Sud Africa, per cui un cambio ai vertici potrebbe costringere un governo filo-americano a militarizzare il movimento allo scopo di destabilizzare i paesi confinanti. Inoltre, se in Sud Africa si inscenassero ripetuti atti di violenza contro i profughi, allora la contro-risposta del Mozambico potrebbe assomigliare ad una Rivoluzione Colorata, dove la gente manifesta per spingere il proprio governo all’azione e per costringerlo ad usare la forza come strumento di giustizia “voluto dalla folla”, mentre in realtà e solo guidato dall’America.
Ultimo, ma per questo non meno importante c’è il Brasile. Visto dall’esterno il Mercosur compete nel continente con la Pacific Alliance, una associazione commerciale neo-liberale, in gran parte allineata agli interessi economici americani. Ho scritto l’anno scorso di come l’Alliance voglia far passare il Paraguay dalla sua parte, ma questo potrebbe più probabilmente accadere se questo cambio di schieramento lo facesse prima la Bolivia (NdR La Bolivia e' entrata ufficialmente nel Mercosur nel Vertici di Brasilia del mese di luglio 2015).  

Evo Morales è molto popolare, ma gli Stati Uniti stanno già pensando ad una Rivoluzione Colorata indigena contro di lui. Se questo piano di destabilizzazione avesse successo e il governo del dopo-golpe allontanasse la nazione dai suoi progetti di integrazione nel Mercosur per farla invece confluire nella Pacific Alliance, è molto probabile che allora il Paraguay possa seguire a ruota. 

Questo secessionismo economico, potrebbe portare alla completa dissoluzione del blocco commerciale e danneggiare drasticamente gli interessi del Brasile. Il Perù, anche se fa parte della Pacific Alliance, è anch’esso suscettibile ad una guerra ibrida basata su una Rivoluzione Colorata incentrata sui diritti degli indios. Questo perchè la nazione sta cooperando con il Brasile e con la Cina nel progetto “Ferrovia dei Due Oceani”, cosa questa che mi porta a parlare delle debolezze interne del Brasile. La “rivoluzione del cashmere”, come è stata definita in ottobre dall’organo di stampa “The Economist”, aveva cercato di invalidare le elezioni del Presidente Roussef e, anche se ha fallito di poco l’obbiettivo, nulla vieta che essa non possa riprendere vigore. 

 http://img.irtve.es/v/1074459/
Infatti gli Stati Uniti potrebbero resuscitarla mettendo insieme una coalizione antigovernativa dove siano presenti in ordine sparso indios, ambientalisti e membri dell’opposizione che contestino la ferrovia dei due oceani. Cosa assai importante, questo tipo di approccio usa argomenti con cui l’opposizione, alle ultime elezioni, aveva riscosso un certo successo e pertanto questa è una possibilità che va tenuta in considerazione.
Per riassumere il tutto, vorrei sottolineare che l’applicazione strategico-tattica delle Rivoluzioni Colorate intesa come strumento geopolitico della politica estera americana è in larga misura il risultato di un lavoro di ingegneria inversa. Se (gli americani) non trovano una situazione sociale favorevole ad essere sfruttata, allora sono in grado di crearne una essi stessi proprio nelle aree dove un evento di questo tipo sarebbe più efficace. Riguardo alla possibilità di una Rivoluzione Colorata nel vostro paese, ci sono alcune domande che ci si dovrebbe porre:

1) In caso di destabilizzazione o cambio di regime, quale dei vostri vicini danneggerebbe di più gli interessi del vostro paese?

2) Come potrebbero forze esterne allo stato interferire nelle relazioni fra la vostra nazione e i paesi confinanti?

3) In che misura siete esposti voi e i vostri vicini agli scenari delle Rivoluzioni Colorate e alle tecnologie di destabilizzazione politica, a livello nazionale come in regioni chiave?

4) Infine, quali meccanismi regionali si possono sfruttare per garantire stabilità sociale e prevenire attivamente questi scenari? Come reagisce la vostra nazione, e i suoi alleati, una volta che questa catena di eventi si è messa in moto?

Se terrete a mente questa considerazioni, sarà più facile prevedere dove e quando ci sarà un tentativo di Rivoluzione Colorata, come anche scovare mezzi efficaci per controbatterla prima di una crisi vera e propria. Ricordate anche che c’è differenza fra proteste legittime e Rivoluzioni Colorate, ma gli Stati Uniti stanno pericolosamente sfumando la linea di demarcazione fra le due allo scopo di nascondere le loro reali mire strategiche, mantenendo però sempre la possibilità di una negazione plausibile riguardo al loro coinvolgimento. 

Quando ci sono di mezzo le ONG e i membri dell’opposizione sono di provenienza estera, questo è di solito un segnale di allarme, tanto quanto dovrebbero esserlo le dichiarazioni di sostegno ai movimenti di protesta da parte del Dipartimento di Stato Americano o della locale ambasciata americana. Se una protesta sembra fare gli interessi strategici degli americani, nella maggior parte dei casi sarà veramente così e gli Stati Uniti avranno sicuramente avuto un ruolo diretto o indiretto nello sviluppo della situazione, anche se 9 partecipanti su 10 non se ne rendono conto. 

Siate sempre all’erta e se tenete a mente che gli Stati Uniti militarizzano le Rivoluzioni Colorate e le utilizzano per i loro scopi geopolitici, allora sarete molto più preparati a controbattere questo nuovo tipo di armamento.