miércoles, 29 de octubre de 2008

Nuovo Bretton Woods, "amero" e blocco sudamericano

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Tito Pulsinelli

La bancarotta di Wall Street, sommata al collasso del dollaro come unico o principale segno monetario negli scambi internazionali, definiscono il profilo nitido del tramontato egemonismo degli Stati Uniti sul continente americano. E non solo. Quali sono gli effetti distruttivi dell'onda espansiva provocata dal cannibalismo finanziario?

La prima e illustre vittima si chiama Messico, vale a dire l'economia di un Paese in cui le elites hanno puntato tutte le loro carte sugli Stati Uniti, fino a firmare un Trattato di Libero Commercio. L'85% del commercio è ora unidirezionale, cioè verso -o dagli- Stati Uniti, e il sistema bancario è una semplice protesi di Wall Street. Il peso si è svalutato del 30%. Il Messico è legato mani e piedi al vicino del nord anche per quel che riguarda le rimesse degli emigrati in forte calo: quasi equivalenti all'intero flusso degli investimenti esteri.

E' notorio che si apprestano a mandare in pensione l'attuale biglietto verde e varare un "nuovo dollaro" che sia più in sintonia -anche al livello simbolico-con la nuova realtà, e che sia il riflesso del posto che occupa nella nuova gerarchia mondiale.
Il Consiglio delle Relazioni Estere (CFR) non nega che è allo studio la nuova moneta "amero", espressione comune degli Stati Uniti, Canadà e Messico, vale a dire del Trattato di Libero commercio del Nord America.

Se fosse passata l'ALCA (Alleanza per il Libero Commercio nelle Americhe) -gennaio del 2005 era la data stabilita a Washington- ora tutta l'economia del continente sarebbe stata annessa, quindi pianificata dai Greenspan o i Paulson, e ridotta ad un materasso su cui far ricadere automaticamente e rapidamente il peso della loro debacle.
La Colombia e il Perù seguono a ruota il Messico perchè hanno adottato politiche di apertura indiscriminata, rifiutando ripetutamente la diversificazione degli scambi e dei patners strategici.

A parte le micronazioni dei Caraibi e quelle del Centroamerica, la parte meridionale del continente ha rifiutato -a diverso grado- la dogmatica liberista, imboccando la strada della diversificazione finanziaria e dei mercati, avviandosi verso la conformazione del blocco regionale.
La bancarotta di Wall Street è percepita come superamento definitivo della "dottrina Monroe". Stanno volando gli stracci, e l'integrazione diventa un imperativo categorico per creare una barriera più solida contro la colata lavica della crisi.

Per evitare che gli Stati Uniti possano esportare -com'è sempre avvenuto nel passato- al resto del continente tutto il peso dei loro problemi e i vizi capitali del loro sistema, sarebbe indispensabile accelerare i tempi dell'integrazione regionale.
Per battere il tentativo di "esportare tutte le perdite" accollandole al resto del continente, è necessario che il Mercosur faccia un balzo in avanti considerevole.

La realtà della quotidianità burocratica è che i parlamentari del Brasile non hanno ancora votato l'ingresso definitivo del Venezuela nel Mercosur.
Il Banco del Sur non è ancora operativo perchè alcuni Paesi cincischiano, tentennano, pertanto le considerevoli riserve monetarie sudamericane rimangono ancora all'interno del moribondo sistema finanziario nordamericano.

La realtà è che la borghesia di San Paolo, del Rio de la Plata, gli agro-esportatori di alimenti OGM e i resti non disarticolati delle oligarchie storiche frenano l'integrazione. Il cordone ombelicale che li lega a Washington è ancora solido, nonostante tutto quel che sta succedendo. E' paradossale, ma è la realtà.

Le elites economiche del Brasile stanno pensando seriamente di accontentarsi del nuovo status di economia emergente di tutto rispetto, e di barattare un Mercosur più forte con l'ingresso nel Consiglio di sicurezza dell'ONU.
Sacrificano volentieri il Banco del Sur pur di far parte della cupula che dovrebbe ridisegnare un nuovo sistema finanziario internazionale, e decidere il destino del dollaro. A tal fine, Bush ha convocato un vertice del G7 allargato al Brasile, Messico, Sudafrica, Arabia Saudita, India, Cina e Russia.

Per gli Stati Uniti sarebbe un affarone inserire due clientes incondizionali come il Messico e l'Arabia Saudita nel club di quelli che dovrebbero definire le nuove regole del gioco post-Bretton Woods. Su questo punto cruciale, è più avanzata la linea delineata dalla Francia che allude ad una "rifondazione" che dovrà modificare il sistema che si sta disintegrando. Gli USA sono per il continuismo acritico e per il trasferimento agli erari pubblici dei costi del crack: poi ripartenza. La Francia esprime con chiarezza gli interessi a lungo termine del blocco europeo.

Il Venezuela si batte per una discussione pubblica di tutti i Paesi che dovrà essere fatta all'Asemblea generale dell'ONU, per sventare che le decisioni siano prese da un ristretto club alle spalle di tutti altri.
Ma sulla questione del nuovo assetto globale, alla fine, dovranno pronunciarsi i movimenti e la società civile internazionale. Non solo perchè saranno quelli che pagheranno il conto ai banchieri, ma per evitare che sia la guerra a sciogliere questi nodi capitali, com'è purtroppo avvenuto nel passato.

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