Relazione costi-ricavi vantaggiosa per la corporazione militare, ma per la nazione nordamericana?
Tito Pulsinelli
L’ormai decennale guerra contro l’Iraq ha superato i costi complessivi -al netto dell’inflazione- affrontati dagli Stati Uniti per l'intera seconda guerra mondiale. Dal 2001, il contribuente nordamericano ha pagato piú di 1 miliardo di dollari per l’avventura bellica in Iraq, altrettanti per l’Afganistan (www.costofwar.com). Se si quantificano i costi dei veicoli, attrezzature e armi, le spese potrebbero oscillare tra i 4000 e i 6000 miliardi di dollari. E’ ilCon una agravante: si trattava di un teatro di operazioni grande come la parte occidentale del continente europeo. Oggi, non hanno dominato in modo chiaro e incontestabile una mediana nazione asiatica. Ieri misero sotto controllo la grande e concorrenziale macchina esportatrice tedesca, frantumarono l’impero inglese, e stabilirino un’idiscussa egemonia sull’Europa e sulla sua area coloniale. Vale dire che diventarono un impero.
parere dell’economista Joseph Stiglitz, docente alla Columbia University e ad Harvard, in altri tempi indiscusso esponente di spicco del FMI. Sono cifre da capogiro, superiori ai recenti stanziamenti statali “salvabanche”. Piú alti dei 3600 miliardi investiti dagli USA in tutto il secondo conflitto bellico mondiale.
La relazione costi-ricavi é chiaramente negativa, soprattutto quando si considera la paradossale assurditá di utilizzare missili e tecnologia militare piú costosi degli obiettivi nemici da distruggere. L’esportazione di petrolio iraqeno non si é riattivata e rimane nettamente inferiore a quella dei tempi di Saddam Hussein. Né sono stati effettuati investimenti per riattivare gli obsoleti impianti petroliferi, semidistrutti dai continui sabotaggi dalla resistenza nazionale iraqena.
E’ una abbagliante evidenza che i faraonici costi delle moderne guerre antiterroriste, non hanno evitato il crollo finanziario, neppure hanno frenato la destrutturazione del modelo sociale finora dominante. Il teorema dell’infallibilitá del Warfare é un falso storico. Non é piú vero che ogni dollaro del bilancio statale consegnato al Pentagono e al monopolio militar-industriale si moltiplica, con magici effetti a cascata sulla societá nordamericana.
In Iraq, dopo 4480 morti e 32ooo feriti, gli USA sono ad un punto morto. Le avventure belliche non recano piú benefici all’insieme della nazione e dei cittadini USA. Sono guerre altamente distruttive, capaci di disintegrare socialitá e istituzionalitá di nazioni svincolatesi dal globalismo, dove peró non c’é un vincitore capace di controllare il territorio, le menti delle genti, le loro risorse ed economie. Dopo 650000 morti, gli iraqeni non demordono e costringono ad una guerra che deve riprodursi stancamente, per poter continuare a far affluire finanziamenti ad un settore minoritario specifico.
La tecnoguerra ad alta concentrazione di capitale degli occidentali non ha ottenuto un’inversione di tendenza alla destrutturante crisi di cui sono vittime Paesi ed economie finora egemonici. Si corrode un modelo imperniato sul potere illimitato di alcune oligarchie, impegnate ora a militarizzare il “cortile" occidentale. All’esterno, dopo la leva liberista per trangugiarsi mercati-banche-monete, resuscitano tardivamente il sogno espansionista e neocoloniale con la NATO. Puntano a riprendersi con la forza quel che stanno perdendo sul terreno commerciale, finanziario, economico, militare, scientifico, mediatico e cultural-religioso.
L’egemonia non é un affare solo di nuove bocche di fuoco disponibili o del primato delle arti marziali. Non basta nemmeno il controllo assoluto del mercato degli stupefacenti from Afganistan e Colombia (con relativi derivati), o il monopolio dell’intrattenimento info-visuale. In dieci anni, Giulio Cesare conquistó l’intero mondo allora conosciuto: dalla penisola iberica, ai Balcani, compreso Francia, Germania, nordeuropa. Unico a penetrare l’arcipelago britannico. Altri tempi storici? Sí, peró un’identica quantitá di tempo cronologico, che relativizza e delinea i contorni degli attuali rapporti di forza. Quegli stessi, che descrivono la differenza abissale tra le potenze convocate a Berlino da Bismarck, e quelle riunite alla spicciolata da Sarkozy a Parigi. In una disegnarono la mappa dell’Africa, che rimase tale per oltre un secolo; nell’altra, un pugno di Paesi si coalizzarono per ricolonizzare una piccola nazione di 5 milioni di abitanti.
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