viernes, 2 de noviembre de 2012

Governo e guerriglia negoziano il futuro della Colombia

Andare oltre il pareggio strategico - Coesione interna possibile con l'inclusione ed equità - Nocivo girare le spalle al blocco sudamericano
Tito Pulsinelli
Si è conclusa a Oslo la prima fase della trattativa tra il governo della Colombia e la guerriglia della FARC, che continueranno a metà di novembre all'Avana. E' stato fatto un passo destinato a trovare una soluzione non militare a un conflitto politico-militare che si protrae da 58 anni. Da due generazioni, salvo una breve parentesi di pacificazione, fallita tragicamente perchè il partito dell'Unità Patriottica -formato dalla guerriglia smobilitata- venne falcidiato sistematicamente con un pianificato sterminio di tutti suoi dirigenti. Tornò a divampare il conflitto e ad esprimersi con il linguaggio delle armi.
Oggi, esistono due fattori decisivi -uno endogeno, l'altro geopolitico- che pesano e delineano condizioni
più favorevoli ad un epilogo negoziato.

1) La morte in combattimento di Che Guevara e la soluzione negoziata abbracciata nel Salvador e Guatemala, per il movimento anti-oligarchico e anti-coloniale segna la fine della ribellione con mezzi militari. L'eccezione sandinista in Nicaragua ha origine nelle profonde radici storiche che -più d'una volta- costrinse gli Stati Uniti ad invadere e occupare. Il carattere insurrezionale ha sempre prevalso sulla dimensione guerrigliera della ribellione popolare.

In Colombia, nonostante l'apporto economico e tecnologico di Washington, con la partecipazione diretta delle sue forze armate, è stato impossibile annientare militarmente la guerriglia. A questa non è riuscito di ribaltare la parità strategica, perdurando in un equilibrio instabile in cui -dopo 6 decenni- è impossibile sconfiggere il contendente. La "x" di questo pareggio ha un costo indicibile per la popolazione civile, diventata la vittima preferenziale com'è ormai consuetudine in tutte le guerre moderne. E' fuor di luogo, pertanto, l'ipotesi di persistere in una strategia che non ha sbocchi definitivi e consolidati per le forze militari agenti, e tutto da perdere per i civili.

2) La lezione che arriva dal contesto sudamericano, indica che dal 1998 è stata percorsa una strada vincente che condusse i grandi movimenti antiliberisti, ondata dopo ondata, a mettere in fuga Presidenti antinazionali, a far cadere governi ligi al FMI. Poi a sedimentare coalizioni sociali ed elettorali, fino al potere politico centrale. E' avvenuto in Venezuela, poi il moto sussultorio è arrivato in Brasile, Argentina, Ecuador, Bolivia e Nicaragua. Archiviata la falsa contraddizione "riformismo versus rivoluzione", assieme ad una concezione del potere come conquista del castello da cui diramare decreti. La nuova sinistra sudamericana, nella sua diversità, è vincente perchè è anti-liberista e abbandona il dogma del "tutto & subito". Rivendica il cambiamento come un processo in progressione, il cui ritmo è scandito dalla forza reale che va accumulando.

3) Le famiglie e i gruppi storici dell'oligarchia cachaca, coriacea come o più di quella peruviana, hanno toccato con mano il pericolo mortale della coabitazione con l'economia criminale, e l'insidia della connivenza con la poderosa narcomafia della cocaina. Con la presidenza di Uribe -il "narco 82" della lista della DEA- si istalla nei vertici istituzionali la nomenklatura dei narcos e i quadri delle sue forze armate paramilitares. L'economia criminale diventa uno Stato nello Stato, e sottrae potere politico e leve di manovra al settore dominante tradizionale.

Il servilismo senza limite di Uribe attenta contro gli interessi nazionali quando concede 7 basi militari agli Stati Uniti, solo con il potere della sua firma. La sospensione immediata delle importazioni fu la risposta del Venezuela, che le sostituì agevolmente con prodotti provenienti dal blocco sudamericano. Gli esportatori colombiani, però, non ebbero la medesima facilità sugli altri mercati. L'avventurismo e le provocazioni di Uribe trovarono un prezzo sensibile da pagare, e la crisi accelerata dell'economia USA dimostrò che quel mercato non garantisce più uno sbocco permente e sicuro.

L'elite e gli agro-espotatori si resero conto che la Colombia non può più voltare le spalle o essere ostile all'UNASUR. Ancor meno può bastarle il ruolo riduttivo di gendarme regionale del Pentagono, i benefici sono maggiori se guarda con più benevolenza verso il sud e il suo blocco regionale.

4) Lo schema di potere in Colombia è come un triangolo (economia legale, quella criminale e potere popolare), quando due di questi fattori si alleano annientano il terzo. E' il momento della convergenza per sconfiggere il potere mafioso e i suoi alleati internazionali. E' un passaggio obbligato per poter metter fine a lacerazioni ataviche, iniziare a ricomporre i frammenti sparsi del suo deflagrato mosaico, ed entrare al secolo XXI con il piede giusto. La forza propulsiva della coesione interna è possibile solo con più inclusione ed equità. Con un nuovo contratto sociale.

Nessuno può pretendere di strappare al tavolo dei negoziati quel che è stato impossibile ottenere con la guerra. E' una partita da giocare con la sola posta del vantaggio reciproco e riconoscibile. Oltre agli 8 milioni di ettari di terre da resituire ai contadini e comunità indigene, c'è in ballo lo sviluppo per consentire il ritorno a casa dei troppi sfollati e profughi interni. E' in discussione il nuovo Paese possibile e la sua collocazione nell'emergente contesto regionale. La Colombia apporta una economia complementare ed il vantaggio bi-oceanico, dove la sua costa del Pacifico sarà meta di oleodotti e punto di imbarco e approdo per gli scambi con l'oriente, come alternativa al canale di Panama.

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